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No, non puoi essermi utile

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Girare nel centro di una qualsiasi metropoli del mondo, da Tokyio a Guayaquil, da New York ad Atene, da Berlino a Varsavia, significa vedersi scorrere davanti la stessa identica sfilza di marchi globali - H&M, Zara, Douglas, Luis Vuitton, McDonald’s, Hugo Boss, Saturn, Footlocker - e il solito elenco di insegne luminose che potete trovare nella via principale della vostra città, qualunque essa sia. Vetrine tutte uguali indipendentemente dal luogo in cui vi troviate, cultura del commercio seriale e della vita in franchising.
E ad essere sempre gli stessi non sono solo i cataloghi e gli oggetti esposti in bella vista, ma addirittura il modus operandi degli addetti alla vendita che si comportano nella stessa precisa maniera a Pechino come a Montreal, a Lubiana come a Seoul.
Di tutti, i più standardizzati e robotici sono quelli delle profumerie Sephora.
Non appena entri, cominciano a puntarti da distante, e a seguire con lo sguardo ogni tuo movimento tra esfolianti corpo e idratanti viso. Dopo circa novanta secondi scatta il sorriso plastificato e, passato un ulteriore mezzo minuto, ecco l’abbordaggio, recitato sempre con le espressioni e le parole previste dal copione aziendale: “Posso esserti utile?”
Io, con una reazione automatica a quella sollecitazione consumistica: mi infurio, rispondo con la maleducazione minore possibile, giro i tacchi ed esco dal negozio.
Quale strategia di marketing si nasconde, dietro le precise istruzioni che le commesse e i commessi di certe catene della grande distribuzione, palesemente, ricevono alla loro assunzione? Quale profilo psicologico del cliente-tipo sta alla base di questi studi socio-commerciali? Davvero il consumatore-medio è così timido e impacciato da avere bisogno di questa assistenza materna e invadente?
Non ce la faccio, è più forte di me: ogniqualvolta una di queste signorine profumate e rimmellate mi approccia con una gentilezza che vorrebbe spacciarsi per interesse nei miei confronti e invece è solo interesse nei confronti dei fatturati aziendali, non posso fare a meno di sentirmi trattato come un perfetto idiota, un babbeo manipolabile perché incapace di far sentire la propria voce.
Se ho bisogno di aiuto sono perfettamente in grado di chiederlo, e ci arrivo anche da me, a capire che le commesse sono stipendiate per servirmi e darmi consigli laddove necessario. Per quale motivo devo sentirmi guardato a vista, pedinato, trattato alla stregua di un bambino di sette anni o di un cerebroleso asociale, se solo mi vien voglia di comprare un dopobarba?
E’ il meccanismo del mercato globale, questa lunga serie di imposizioni mascherata da carineria, queste mancanze di rispetto celate dietro una fasulla attenzione all’altro. Questo spargere nebbia intorno alla autocoscienza dell’individuo, fingendo di volergli far testare una nuova, seducentissima fragranza.


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