USA 2013
cast: Luke Evans - Adelaide Clemens - Lee Tergesen - Derek Magyar - America Olivo - Lindsey Shaw - Gary Grubbs
regia: Ryûhei Kitamura
soggetto e sceneggiatura: David Cohen
musica: Jerome Dillon
durata: 86 min
INEDITO
“Perché lo fai?”
“Mi tiene in forma”
“Ma…non ho fatto niente di male…”
“Forse sei solo sfortunata.”
Una coppia in viaggio, una ragazza scomparsa, una banda di motociclisti.
La coppia si sta spostando attraverso l’America, tra l’uomo (Luke Evans) e la donna (Laura Ramsey) è percepibile una tensione ambigua, sospesa, soffocante. C’è come un segreto doloroso che li divide ma li rende complici.
Della giovane e ricca Emma (Adelaide Clemens) invece, non si sa più nulla da otto mesi, dopo essere sparita dal luogo di una strage perpetrata da un folle sanguinario che ha massacrato 49 compagni di scuola della ragazza.
La banda di bikers criminali (quasi tutti imparentati tra loro) sono in fuga dopo il furto in una villa finito in un bagno di sangue per colpa di Flynn (Derek Magyar) lo schizzato del gruppo.
Tutti elementi di un meccanismo scomposto, ingranaggi che sembrano muoversi su strutture parallele ma distanti…questo finché l’idiozia del paranoico Flynn non agisce da catalizzatore sulle vite dei componenti, ed il meccanismo s’inceppa dando vita ad un capovolgimento di ruoli che trasformerà i colpevoli in vittime mentre le prede snuderanno inaspettati artigli rivelando una insaziabile sete di sangue. E i cattivi scopriranno che esiste qualcuno più crudele e spietato di loro.
Ma ormai è troppo tardi per porvi rimedio: No One Lives.
Kitamura, già artefice del nippozombie “Versus” (2000) e del riuscito “Prossima Fermata: L’inferno” (The Midnight Meat Train - 2008) di Bakeriana memoria, confeziona un ibrido impastato di carne e sangue; un road/rape/slasher/movie spolverato da un sottile velo d’ironia ed insaporito da un’azione serrata mirata a dare brividi e scossoni all’esofago.
Nonostante le iniziali apparenze la trama di No One Lives è di una linearità quasi disarmante, e questo Kitamura lo sa, ma poco importa. Non c’è bisogno di andare ad indagare troppo nella psicologia dei personaggi, né di creare alibi morali ai partecipanti dell’efferato gioco al massacro scatenato involontariamente dalla cattiveria ottusa di qualcuno. La partita ha inizio e quello che veramente conta è mettere in scena un rutilante fuoco d’artificio che inondi lo spettatore di frattaglie ed emoglobina.
Il messaggio è semplice: hai infilato il braccio nella tana del lupo affamato? Pagane le conseguenze.
In definitiva gli innocenti non esistono; il più pulito c’ha la rogna e Mors tua Vita mea. Non c’è gioco di squadra né il minimo tentativo di empatizzare con chi sta nella merda come te; che ognuno pensi alla propria pelle e cerchi di tenersela attaccata alle ossa, se ci riesce.
E fanculo anche alla Sindrome di Stoccolma.
Le sequenze di violenza sono sincopate e crude; un balletto dove senti le ossa spezzarsi e vedi il sangue fiottare in ogni direzione. C’è poco spazio per il resto e le striminzite pause servono solo a far riprendere il fiato tra un trituramento di arti ed uno sgozzamento ed allo spettatore rimane solo da rilassarsi e godersi lo spettacolo, sorridendo sadicamente sotto i baffi nel vedere i soliti quattro teppisti di quartiere sbranati da qualcuno con le palle più grosse di loro.
“Sai chi sono io? Chi sono?”
“Chi…sono…io?”
“Non lo so! Un serial killer?”
“Un serial killer? Oh, Gesù…no!”
“Un serial killer li uccide uno ad uno, io, molti assieme; cosa che fa di me un vero psicopatico…”
“anche se ci sono alcune cose che mi rendono stereotipico.”
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