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Sono quelli che hanno dato la caccia all'"amianto blu" quella sostanza che penetra nei tessuti umani e lentamente uccide. E da cacciatori sono diventati vittime. Hanno introiettato un tumore chiamato "mesotelioma da asbesto" trascorrendo giorni e giorni dentro 2.750 vetture ferroviarie contaminate, per raschiare pazientemente migliaia di lastre avvelenate. É stata considerata "la più grande bonifica da amianto in Europa". Un prezioso servizio alle ferrovie ritornate in possesso di treni salvati dal macero, un servizio allo Stato e a tutti noi. Dovremmo essere riconoscenti a questi che hanno combattuto un'implacabile guerra segreta. É successo 30 anni fa, dal 1983 al 1988. Erano dipendenti di una ditta appaltatrice di Avellino la Isochimica. Quindici di loro su 350 sono giá morti. Gli altri trascorrono le notti insonni, preparano i figli a un futuro da orfani.
Combattono per aver riconosciuti i rischi che corrono con quel maledetto germe in seno. Ma l'Inail, lo Stato che hanno servito, riconosce solo una bassa percentuale di danno. La riforma Fornero per molti ha impedito l'andata in pensione. Nella legge di stabilità pochi mesi fa era stato introdotto un emendamento a loro favore, ma è sparito. Sono notizie tratte da un libro che sembra un "noir". Un testo costruito con le voci narranti degli operai, raccolte da un dirigente Cgil, nonché encomiabile scrittore, Anselmo Botte. I protagonisti sembrano vagare di pagina in pagina come fantasmi angosciati, reduci da una storia terribile. Il titolo del volume è "Il racconto giusto" (Ediesse). Un modo per contestare le versioni date a suo tempo dal padrone della Isochimica, Elio Graziano, quando sosteneva che la Coca Cola era più dannosa dell'amianto. O per smentire le versioni rassicuranti dell'Inail.
Ed eccolo il "racconto giusto" che descrive minuziosamente come sono cominciati quei lavori, le immersioni nelle polveri, le inutili misure protettive. Come il fazzoletto attorcigliato sulla faccia o gli impianti simili a quelli del lavaggio macchina. E poi la storia della lenta scoperta dei pericoli, dell'allarme. Con le vicende di chi é fuggito, di chi ha trovato un altro lavoro, di chi è rimasto disoccupato. Tutti in preda all'ansia, al terrore. Vite infelici. Spiega Nicola uno con tre figli e la più piccola ha 12 anni: "Dopo i cinquant’anni non sei più nessuno". Lui ha tentato di lavorare alla pulizia dei cessi per un'impresa. Ma gli hanno chiesto un certificato di sana e robusta costituzione e il medico naturalmente glielo ha negato. Una beffa ulteriore.
Altri suoi compagni Antonio, Michele, Vincenzo, fanno i «favrcatur» cioè stanno sui pontili "con la asbestosi che è una malattia che ti dice di stare al caldo a casa, perché basta una bronchite per passare a miglior vita". Poi una goccia di ottimismo con la possibilità di ottenere un piccolo abbuono contributivo per la pensione ma subito annullato dalla legge Fornero. Un altra speranza appare, come racconta Carlo, quando alla fine del 2013 vengono a sapere di un emendamento nella legge di stabilità: "Era praticamente tutto fatto per il prepensionamento delle persone ammalate di amianto, l’ultima notte non si è trovato l’emendamento... Poi abbiamo saputo che è stato ritirato senza discuterlo per via della fiducia, e quindi stiamo punto e a capo".
Cosí Giovanni commenta: "La nostra storia è la storia di trecentocinquanta operai che hanno lavorato nell’Isochimica. Ognuno di noi è una storia a sé, la malattia è sempre la stessa, adesso chi sta un po’ più avanzato e chi meno, però ci sta portando tutti lentamente sullo stesso livello. Come si sa la malattia si manifesta non subito, gli studiosi dicono che il picco di morti avverrà tra il 2015 e il 2020. E così, il prossimo giro sarà fatale per molti di noi...". Michele aggiunge: "Fino ad oggi sono morti in quindici, è morto anche un parente di Graziano che lavorava lì, e sai che percentuale di invalidità gli aveva riconosciuto l’Inail? Il 16%. Cioè lui è morto con il 16% di invalidità...Mi fermerò pure io al 16%? Con quale percentuale mi presenterò al Padreterno?".
Stati d'animo comprensibili. Qualcuno dovrebbe ascoltarli. Scrive nella prefazione al libro con amarezza Angelo Ferracuti che sarebbe necessaria una politica in grado di tradurre in soluzioni concrete una tale denuncia. Un invito a "raccogliere la sfida di questi operai senza più classe e senza partito...".
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