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Confesso che a un certo punto avevo smesso di crederci. Il Calcio Como, la squadra del mio cuore, sembrava ormai tagliata fuori dalla lotta per entrare nei play-off di Lega Pro e giocarsi la promozione in serie B. Tutto faceva credere che la resa fosse imminente: i risultati deludenti, la sfiducia che serpeggiava in seno ai tifosi, alla società, agli stessi giocatori. Troppi fattori negativi, troppe vicissitudini avevano impedito al Como di esprimersi al meglio, di dare continuità alle proprie prestazioni sul campo. Di campionati ne ho visti e vissuti troppi (una cinquantina) perché continuassi a illudermi, perciò avevo messo il cuore in pace. Ma poi, d’un tratto, come se una tromba (o una mano?) invisibile avesse ordinato una carica degna di quella che il Savoia Cavalleria fece a Isbuscenskij la mattina del 14 agosto 1942, i Lariani si sono trasfigurati e hanno inanellato un filotto di risultati esaltanti, sbaragliando le dirette avversarie e conquistando l’ultimo posto utile per i play-off. Dati per sfavoriti, hanno poi battuto squadre che vantavano i favori del pronostico e si sentivano più forti. Il Como ha vinto con merito i play-off, ritrovando l’entusiasmo, i suoi tifosi e il gioco. Il resto è cronaca sportiva; i biancoblu sono tornati in serie B, una categoria più consona al blasone comasco. Aldilà dell’impresa sportiva, placatasi la frenesia orfica delle ore successive al trionfo, mi sono ritrovato a riflettere sul valore e il significato di una vittoria che ha la magia dei regali natalizi dell’infanzia. Ebbene, personalmente ne ho tratto un insegnamento. Per quanto stia per compiere sessant’anni, mi sento ancora un principiante nei confronti della vita, ergo ho colto la preziosa lezione insita in un successo che ha una chiave di lettura inequivocabile. Il Como ha vinto perché la società, l’allenatore, i giocatori e i tifosi veri non hanno mai mollato. La tenacia, la perseveranza, la coesione e la fiducia in se stessi hanno reso possibile il raggiungimento di un risultato che ormai sembrava impossibile. Certo, va detto che a monte c’era tanta qualità, in parte inespressa, e che il fato si è mostrato benigno nel momento giusto. Ma non è forse così anche nella vita di tutti i giorni? Non partecipiamo forse a un campionato interminabile che ci propina qualche vittoria, tanti pareggi e troppe sconfitte? Non siamo forse vittime di circostanze sfortunate, cali di tensione, ingiurie, decisioni arbitrali sfavorevoli e spesso inique? La vita di ognuno di noi non assomiglia a quelle partite stregate in cui attacchiamo con ardore e veniamo infilati in contropiede? Non ci capita spesso di essere ammoniti per falli veniali e qualche volta espulsi perché reagiamo ingenuamente alle provocazioni degli avversari scorretti? Credo che ogni essere umano scenda in campo per essere amato e applaudito, per vincere. Purtroppo, il più delle volte accade che ci fischino e sostituiscano, per cui ci sentiamo avviliti, battuti, derisi. Rientriamo negli spogliatoi con la rabbia in corpo e la tristezza nel cuore. Ci ripromettiamo di rifarci nella partita successiva, di mostrare il nostro valore, di sedurre la fortuna. Sappiamo tutti che la nostra voglia di rivincita è spesso disattesa, perché il destino è crudele o perché gli altri sono più forti o scaltri. Assistiamo con disgusto alle simulazioni altrui, sopportiamo gli arbitri corrotti e spesso ci ritroviamo beffati ben oltre il tempo regolamentare. È la vita, dirà qualcuno, di cui il gioco del calcio è la metafora ideale. E allora? E allora, lasciatemelo dire, esulto per la vittoria del Como e non solo perché a vincere, questa volta, sono anche i tifosi, troppo spesso mortificati, ma perché il Como ci ha indicato la via. Una via possibile, percorribile. Dobbiamo crederci e lottare su ogni palla. Dobbiamo vincere prima di scendere in campo e perché ciò accada occorre metabolizzare il principio che siamo i fabbri del nostro destino, che nessun avversario o arbitro prezzolato può impedirci di vincere se lo vogliamo veramente, se i nostri nervi sono tesi come archi, se il nostro cuore è deciso a saltare oltre l’ostacolo. Tutti abbiamo vissuto o viviamo momenti di grande delusione, disincanto, sofferenza e stanchezza. In quei momenti in cui non ne va bene una, in cui diventiamo invisibili e ci additano come perdenti, in quei momenti in cui dubitiamo di noi stessi e, voltandoci, ci accorgiamo di essere stati risucchiati nella zona retrocessione, dobbiamo trovare la forza di stringere i denti e resistere, di cercare dentro di noi la forza e il coraggio per contrattaccare. Non dobbiamo mai smettere di coltivare i nostri sogni né rinunciare alle nostre legittime ambizioni. Non dobbiamo farci spaventare dalle sconfitte né perdere la speranza di farcela.C’è una frase di sir Winston Churchill che mi rimase impressa il giorno in cui mi capitò di leggerla per la prima volta. Dice: “Il successo consiste nell’andare di insuccesso in insuccesso, senza mai perdere l’entusiasmo”. Sono convinto che una lunga teoria di insuccessi non precluda all’uomo ostinato la possibilità di trovare alla fine l’agognato successo. È accaduto al Calcio Como, sconfitto tante, troppe volte durante la regular season, ma finalmente vincente, irresistibile nei play-off, nel momento in cui il destino gli ha offerto la rivalsa. Può succedere a chiunque abbia raccolto fallimenti, rifiuti e sconfitte come se fossero figurine Panini. Non vergognatevi del vostro album perché testimonierà la determinazione con cui avete cercato e trovato il riscatto. Fino all’ultimo dei nostri giorni, avremo tutti la possibilità di rifarci, superare i nostri limiti, guadagnarci la promozione che ci è stata negata troppe volte. Grazie Como. Sono orgoglioso di essere lariano, di avere fatto il tifo per te e avere vissuto con empatia una straordinaria avventura sportiva e umana. E quando penso a certi cori che mi hanno fatto venire i brividi sugli spalti del Sinigaglia, non posso che sorridere felice e guardare al futuro con ottimismo. “Noi non molleremo mai”, è l’unico proposito ragionevole. Io so che non mollerò mai. Non fatelo nemmeno voi che mi leggete. Il futuro ci appartiene.
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