Il progetto nel quale sono inserita si occupa di pescatori di un lago artificiale costruito negli anni ’70 per produrre energia elettrica.
Parlando con alcuni di loro mi sono sentita dire “io vengo dal lago”, intendendo di essere originari di una delle comunità che sono state allagate per far posto a questo grosso bacino.
Villaggi, scuole, cimiteri, antiche rovine Maya, le terre più fertili del Paese: tutto è stato inesorabile coperto dall’acqua.
La vita di questa parte di Paese è cambiata per sempre.
Il dipartimento un tempo noto per il suo clima fresco è ora caratterizzato da temperature torride. Gli agricoltori della zona si sono dovuti trasformare in pescatori. Le famiglie sono state sfollate e trasferite in altre località che portano l’umiliante nome di “Reubicaciones 1-2 y 3″; sono passati 15 anni prima che fossero garantiti i servizi di base (acqua, luce, scuole) in queste nuove comunità.
Nei periodi di secca alcune terre, ormai di proprietà dell’impresa elettrica, emergono dal lago e attraverso una catena di affitti e subaffitti vengono concesse a caro prezzo ai pescatori per fini agricoli. Vivere della sola pesca non è più possibile: il lago è inquinato, la concorrenza è forte e proviene sia dai pescatori che dai predatori naturali, il prezzo del pesce è deciso dagli intermediari che gestiscono tutto il commercio.
Sono trascorsi meno di 40 anni dalla sua costruzione. “Alcuni di noi avevano provato a resistere, ma quando l’acqua ha cominciato a salire… siamo dovuti andare via”.
Anche questo è El Salvador: piccole storie di gente comune che vive in un paese di cui non si parla mai.
Simona, 31 anni, El Salvador