Partiamo da Logos, dunque, che in greco antico (λέγειν léghein), a differenza di come si è soliti pensare, ha un significato ben più complesso del "semplice" riferimento al parlare cui siamo abituati.
I greci, nella parola logos, restituivano, infatti, una molteplicità di sensi come: raccontare, enumerare, scegliere, designando, cioè, nel logos, la complessa articolazione delle relazioni, dei legami con le persone e le cose che la parola, il logos, media, traduce facendo dell'uomo quell'animale incredibilmente dotato, capace, unico tra i viventi, di com-prendere il mondo, portandolo a sé e in sé per poi trasformarlo, anche (e forse soprattutto) grazie alla parola, a suo uso e consumo.
Il logos, insomma, la parola, non è semplicemente "parlare" ma, soprattutto, dare un senso, il nostro senso, al mondo che abitiamo attraverso l'emissione di un suono che, rimbalzando contro le persone e le cose verso cui l'abbiamo lanciato, ci torna indietro tanto più forte quanto più quelle persone e quelle cose rispondono con senso a quel suono, con-sentendo (sentono insieme a noi), che quel suono produca un senso.
Per questo, quando il logos zoppica, per patologie connaturate o inciampi di natura sociale e/o culturale, è la nostra capacità di introitare il mondo e dargli un senso che viene meno e, quindi, la nostra capacità di condividere questo senso con gli altri, ossia di nutrire le nostre relazioni e la nostra capacità di manipolare il mondo incidendo, a volte anche pesantemente, sul livello di benessere delle nostre vite.
Massimo Silvano Galli