Trama di Non avere paura del buio
Sally Hirst, una bambina taciturna e solitaria, si trasferisce in una villa del XIX secolo a Rhode Island assieme al padre Alex (Guy Pearce) e alla nuova fidanzata Kim (Katie Holmes). Perlustrando la casa, che sta subendo una ristrutturazione, Sally scopre una cantina nascosta, da cui libera delle malvagie creature che vogliono trascinarla nell’oscurità e che finiranno per innescare un conflitto nel rapporto mai idilliaco tra la bambina e i suoi nuovi genitori. La bambina dovrà convincere Alex e Kim che non sono solo il frutto delle sue fantasie, ma che una reale minaccia incombe su di loro.
La recensione di Non avere paura del buio
Cominciamo dicendo che non sono tra quelli che reputano Del Toro un genio. Tutt’altro. La sua collaborazione alla sceneggiatura di “Non avere paura del buio”, è un’ulteriore conferma di quale errore sia stato reputare “Il labirinto del fauno” come un mezzo capolavoro. Il film in questione è, sì, sopra la media del fantasy cinematografico e riesce a trattare temi che sono solitamente tagliati fuori da questo genere, ma rimane un capolavoro solo per le sue doti soporifere e per la capacità di annoiare anche lo spettatore più attento, oltre ad introdurre temi del folklore con la profondità di una puntata di Voyager.
Ma veniamo a questo nuovo e attesissimo “Non avere paura del buio”:
Il protagonista è una bambina di quasi dieci anni (una delle più antipatiche mai viste) ma sembra una downer quarantenne. L’abilità di catturare l’antipatia dello spettatore entro i primi dieci minuti è seconda solo a quella di Katie Holmes di rimanere totalmente anonima. Nei primi 45 minuti (metà esatta del film) non abbiamo uno straccio di informazione su quali siano le storie dei personaggi protagonisti, nessuno spunto o sforzo di caratterizzazione (quando ci sono è meglio non ci fossero: vedere una bambina prendere antidepressivi e il padre che fa spallucce spingerebbe al duplice omicidio anche un boyscout). Hai dieci anni, Cristo, come fai ad essere depressa? Al massimo posso accettare tu sia triste, ma depressa? Pare già di vederla venti anni dopo: un lavoro nel mondo dell’editoria, unica vita sociale le riunioni degli alcolisti anonimi.
Aggiungete che l’unico personaggio simpatico, ovvero l’unico che dimostra di curarsi degli altri e di avere una vaga percezione della realtà, viene ferito mortalmente a causa dell’antipatica bambina maniaco-depressiva e avrete un perfetto mix che vi costringerà alla sedia in attesa che la bambina muoia mangiata dai fratellini brutti dei Gremlins.
Se togliamo la classica melodia bambinesca, vero stereotipo degli horror da 40 anni a questa parte, il sonoro è la parte migliore del film. Quando le creaturazze escono fuori dal seminterrato e cominciano ad aggirarsi per la casa, quasi si rimpiange la loro precedente natura di pure voci (magari ricordano un po’ troppo Gollum però).
Va da se che l’ambientazione, in un horror d’ambientazione è la cosa che conta di più se non si vuole svaccare. Per ambientazione è ovvio non s’intenda solo la proposizione di luoghi e paesaggi sotto forma di statiche diapositive. Ci si aspetterebbe, per esempio, un sottofondo culturale che, se non arriva a giustificare i fatti stessi, almeno li accompagni in qualche modo. Cacchio ne so… il Maine per gli horror di Stephen King o Bifolcoland per Rob Zombie.
Parlando degli attori, Katie Holmes è più inespressiva di un mattone ed ha più difficoltà a trovare il proprio ruolo di quelle che ha Ferrara a trovare il proprio pene. Lasciamo stare la sceneggiatura, vuoto pneumatico che rende possibile simili performance da parte degli attori ad opera di Matthew Robbins (Miracolo sull’8a strada, Il concerto) e Guillermo Del Toro. Il prossimo che dice che Guillermo Del toro è un genio, si becca una testata sul naso via posta.
Qualcuno ha detto "espressività"?
La suspense, che dovrebbe essere costruita lentamente, con movimenti di camera a seguire e inquadrature non del tutto scontate (non lo dico io, beninteso che sono Nessuno, lo dice la mole sterminata di film di genere; vederne un paio prima di girare un film, no eh?), viene sputtanata da tagli che riescono ad annullare ogni sensazione di realismo della casa. Il tutto si riduce ad una molteplicità di set già fasulli e stereotipati in partenza (o ce ne frega delle ragnatele?). La casa non è viva neanche per un minuto e rimane verosimile solo nella mente del regista, forse troppo impegnato a riprodurre i sogni e gli incubi infantili dello sceneggiatore-produttore. Avevo notato lo stesso difetto anche in un film come Insidious, archiviando però la questione con il pretesto che non si trattava prettamente di un film “sulla casa infestata”, giacché lo era solo in apparenza e comunque non oltre il primo tempo. In questo senso, basti dare un’occhiata ad un film come “The House of the Devil“ , per rendersi conto di come sia possibile ricreare cinematograficamente un’ambientazione da casa infestata anche con un basso budget.
Se poi aggiungiamo che dalla seconda parte in poi si deve fare uno sforzo maggiore per credere che esseri dalle sembianze di topo siano una minaccia credibile per un individuo, il tentativo di creare un’ambientazione che prepari questo stato di cose, facilitando la sospensione dell’incredulità allo spettatore (serve a questo la prima parte di un film, di solito), allora ci accorgiamo che il regista non è stato all’altezza di questo compito.Per finire, la fotografia è uniformemente curata fino ad essere finta e risulta stucchevole nel migliore dei casi.
Del Toro ha un livello di comprensione del fantastico che può essere quello di un bambino. Non va molto oltre la fisicità degli esserini e della loro resa estetica; si capisce che ama giocare coi modellini in plastica o in CGI. Lo vedrei bene a dirigere roba tipo i Gremlins ma, nel frattempo, lasci stare l’Horror che proprio non è roba sua.
Evitate questo film, a meno che non siate bambini di 6 anni.
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