di Daniela Palma e Guido Iodice da Left del 19 luglio 2014
E’ un bollettino di guerra quello che ci riferiscono gli ultimi dati ISTAT sulla produzione industriale italiana: -1,2% il dato di maggio rispetto ad aprile e -1,8% quello tendenziale sull’intero anno. Siamo in crisi, si dirà. Ma il periodo precedente aveva lasciato sperare qualcosa di meglio, mentre l’aspettativa che la dinamica economica di crescita dei paesi extraeuropei funzioni da traino sembra sempre dietro l’angolo, ma non si concretizza mai. Né lascia margini di ulteriore speranza l’andamento economico dei principali partner europei, Francia e Germania in primis, anch’esse con un calo di tutto rispetto della produzione industriale nello stesso periodo: -1,3% per la Francia, -1,4% per la Germania.
C’è tuttavia un pericolo ancora più grande che incombe sui destini dell’economia italiana: la convinzione che il nostro paese sia vittima di un destino cinico e baro nella stessa misura di tutti gli altri paesi europei e che dunque il suo arretramento sia semplicemente governato da una recessione di carattere globale, che deve essere corretta nelle sedi europee, trattando innanzitutto sull’ammorbidimento delle politiche di austerità. Il punto, però, è che i dati Istat ci dicono che il cuore dell’industria manifatturiera italiana (al netto della lavorazione della plastica e dei minerali non metalliferi) subisce a livello tendenziale perdite ben superiori al -4%, mentre il “Made in Italy” non è in grado di compensare, registrando una caduta del -1,5%. La recessione europea ha in altri termini ampliato problemi radicati da tempo nel nostro tessuto produttivo, che trovano conferma in una perdita di quote delle esportazioni manifatturiere italiane sul mercato internazionale superiori a quelle registrate dai nostri maggiori partner. Il messaggio che i dati Istat ci consegnano non ha solo dunque il sapore di un (più che giustificato) “cahier de doleance”, ma esorta a guardare al senso più profondo delle politiche economiche utili per un rilancio dell’economia italiana. In questo senso la fine dei dictat delle politiche di austerità europee rappresenta un fondamentale precondizione. Ma deve esser chiaro che di precondizione si tratta e se, accanto ad un rilancio di base della domanda, non saranno affiancati opportuni interventi di riqualificazione del sistema industriale, l’Italia continuerà a perdere terreno, come già avvenuto nei periodi antecedenti la crisi.
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