Pietro fa bene a ricordarlo: il D.lgs 106/2009 correttivo del D.lgs 81/2008 ha dimezzato le pene per i responsabili delle morti sul lavoro. Aggiungerei, però, che il problema della (in)sicurezza sul lavoro è anche culturale (le sanzioni, da sole, non cancellano le morti, gli infortuni invalidanti o le malattie professionali). E uno
spot, come quello che sta girando in questi giorni, è utile - certo - ma insufficiente. I decessi suoi luoghi di lavoro sono in diminuzione, l’Inail ha recentemente rilevato il maggior calo dal 1951. Sia io che Pietro avevamo fatto un ragionamento simile sulle possibili cause e
le morti di ieri sembrano confermare, purtroppo, le nostre teorie. Ma al di là delle considerazioni e dei numeri è evidente il problema di fondo: la mancanza di cultura. Lo sottolinea
Giuseppe Giulietti su
Blitz Quotidiano riprendendo una lettera di Marco Bazzoni, rappresentante per la sicurezza dei lavoratori: “Almeno, per favore, non chiamatele più morti bianche”.
L’espressione “morti bianche”, infatti, evoca quasi una morte dolce, simile a quella dei neonati in culla, una morte dovuta al fato, senza mandanti, senza cause, contro la quale ci sarebbe ben poco da fare, se non piangere e, appunto, imprecare contro un destino cinico e baro.
Sarà un caso, ma io queste parole le ho già sentite:
Mi creda, io ne ho visti di morti sul lavoro. Hanno tutti i colori meno che il bianco. Ho visto lo sgomento dei colleghi, il dolore dei familiari. Sono segni indelebili che ti rubano un pezzo dell’anima. Le morti sul lavoro non hanno nulla di innocente, non sono le morti dei bambini nella culla di cui non si sa l’origine. Qui si sa chi sono i mandanti, chi sono gli autori, si sa tutto. E gli operai che muoiono non hanno nulla di bianco.
Era il marzo del 2009 e nell’occasione intervistai
Vincenzo Di Nucci, presidente dell’Aitep, alla vigilia dell’approvazione del decreto correttivo.