di Grazia Nonis. I suoi “No” diventano sì mentre le tappa la bocca con la mano. La picchia, poi si slaccia i pantaloni e la violenta. Lei urla e non vuole ma a lui non frega niente perché è ubriaco, e anche se non lo fosse sarebbe lo stesso: lei è sua moglie. Fa quello che deve fare e poi se ne va sbattendo la porta. Lei piange, rannicchiata per terra in posizione fetale. Ha gli occhi gonfi, le duole il fianco e respira piano perché le costole le fanno male. Accenna un sorriso verso i suoi bambini che terrorizzati la fissano senza parlare. Dice loro che non è successo niente, che il papà non è cattivo. E’solo stanco e lei l’ha fatto arrabbiare. Poi allarga le braccia e loro le si accoccolano in grembo. Li tiene stretti a sé mentre prega che lui non torni ancora sbronzo, che la picchi di nuovo e sfoghi la sua anima rabbiosa violentandola. Mentre tranquillizza i suoi piccoli un pensiero, come un lampo, le attraversa la mente. Lo immagina uscire dall’osteria barcollando. Attraversare la strada ed essere investito da un camion. Lo guarda volare in aria come un fantoccio di pezza e ricadere con un tonfo. Lo vede lì, faccia a terra sull’asfalto. Morto. Niente più botte, ossa rotte e lacrime. Torna in sé, scuote la testa e recita un’Ave Maria chiedendo perdono alla Madonna per quel folle desiderio dettato dal dolore. Le tornano in mente le parole dell’assistente sociale, delle trasmissioni che parlano di quelle come lei e dei tanti opinionisti: tutta gente che saprebbe cosa fare in queste situazioni. Ma loro che ne sanno di lei e delle altre... Accende la televisione, c’è il telegiornale: stanno parlando di una disgraziata che questo coraggio l’ha avuto, è andata alla polizia e ha fatto arrestare il maledetto. Alza il volume e si mette in ascolto: “Aveva abusato della moglie più volte. Ma era ubriaco ed ha chiesto le attenuanti. Il Tribunale di Vicenza prima e la Corte di Appello poi gliele avevano negate, perché quei rapporti violenti erano stati completi. Ma la terza sezione penale della Cassazione ha accolto il suo ricorso e la sentenza di Appello si rifarà”. Anziché costituire un’aggravante, così come avviene per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, questi giudici buonisti e garantisti hanno accolto il ricorso dell’uomo concedendogli delle etiliche attenuanti. Senza nemmeno tener conto che l’omuncolo era già stato condannato nel 2013 per maltrattamenti in famiglia. Barcolla, si sente male e s’accascia sulla sedia. Si prende la testa tra le mani immaginandosi lo strazio dell’altra, sua sorella di botte e di violenza. Sa ciò che prova ma ne ammira il coraggio. Quel coraggio che a lei è sempre mancato e che ora, dopo l’ingiusta giustizia, ha perso per sempre. Vorrebbe conoscere quei dottori in legge che hanno usato clemenza verso il porco e chiedere perché. La rabbia la spinge ad odiarli ed a sperare che la vita, prima o poi, li porti ad incrociare un uomo come il suo, affinché loro ed il giudizio che decide le sorti altrui possano rinsavire.
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di Grazia Nonis. I suoi “No” diventano sì mentre le tappa la bocca con la mano. La picchia, poi si slaccia i pantaloni e la violenta. Lei urla e non vuole ma a lui non frega niente perché è ubriaco, e anche se non lo fosse sarebbe lo stesso: lei è sua moglie. Fa quello che deve fare e poi se ne va sbattendo la porta. Lei piange, rannicchiata per terra in posizione fetale. Ha gli occhi gonfi, le duole il fianco e respira piano perché le costole le fanno male. Accenna un sorriso verso i suoi bambini che terrorizzati la fissano senza parlare. Dice loro che non è successo niente, che il papà non è cattivo. E’solo stanco e lei l’ha fatto arrabbiare. Poi allarga le braccia e loro le si accoccolano in grembo. Li tiene stretti a sé mentre prega che lui non torni ancora sbronzo, che la picchi di nuovo e sfoghi la sua anima rabbiosa violentandola. Mentre tranquillizza i suoi piccoli un pensiero, come un lampo, le attraversa la mente. Lo immagina uscire dall’osteria barcollando. Attraversare la strada ed essere investito da un camion. Lo guarda volare in aria come un fantoccio di pezza e ricadere con un tonfo. Lo vede lì, faccia a terra sull’asfalto. Morto. Niente più botte, ossa rotte e lacrime. Torna in sé, scuote la testa e recita un’Ave Maria chiedendo perdono alla Madonna per quel folle desiderio dettato dal dolore. Le tornano in mente le parole dell’assistente sociale, delle trasmissioni che parlano di quelle come lei e dei tanti opinionisti: tutta gente che saprebbe cosa fare in queste situazioni. Ma loro che ne sanno di lei e delle altre... Accende la televisione, c’è il telegiornale: stanno parlando di una disgraziata che questo coraggio l’ha avuto, è andata alla polizia e ha fatto arrestare il maledetto. Alza il volume e si mette in ascolto: “Aveva abusato della moglie più volte. Ma era ubriaco ed ha chiesto le attenuanti. Il Tribunale di Vicenza prima e la Corte di Appello poi gliele avevano negate, perché quei rapporti violenti erano stati completi. Ma la terza sezione penale della Cassazione ha accolto il suo ricorso e la sentenza di Appello si rifarà”. Anziché costituire un’aggravante, così come avviene per chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, questi giudici buonisti e garantisti hanno accolto il ricorso dell’uomo concedendogli delle etiliche attenuanti. Senza nemmeno tener conto che l’omuncolo era già stato condannato nel 2013 per maltrattamenti in famiglia. Barcolla, si sente male e s’accascia sulla sedia. Si prende la testa tra le mani immaginandosi lo strazio dell’altra, sua sorella di botte e di violenza. Sa ciò che prova ma ne ammira il coraggio. Quel coraggio che a lei è sempre mancato e che ora, dopo l’ingiusta giustizia, ha perso per sempre. Vorrebbe conoscere quei dottori in legge che hanno usato clemenza verso il porco e chiedere perché. La rabbia la spinge ad odiarli ed a sperare che la vita, prima o poi, li porti ad incrociare un uomo come il suo, affinché loro ed il giudizio che decide le sorti altrui possano rinsavire.
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