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Non ci sono più gli universitari di una volta

Da Abattoir

Non ci sono più gli universitari di una volta

Foto da flickr

 

Capisci che l’età avanza, quando cominci a fare paragoni tra la generazione che ti ha preceduto e quella che ti succede succede (tra la tua e la tua successiva invece lo fai banalmente già a 14 anni e senza obiettività) e ti accorgi di come quelli della tua generazione siano divisi tra quelli che hanno ereditato e quelli che sono stati pionieri.
Ricordo che, quando sono entrato all’Università, era tutto diverso da ora, era tutto più bello, vuoi perché non conoscevo bene le cose brutte che erano nascoste dietro alcune cose apparentemente belle, vuoi perché ancora non erano passate alcune riforme culturicide, vuoi soprattutto perché l’università non era ancora propriamente di massa, c’erano ancora molti del Vecchio Ordinamento che, quando scelsero di iscriversi all’università, sapevano bene che avrebbero dovuto fare i loro santi 4-5 anni e non erano illusi da un 3+2 (che nel 90% dei casi diventa almeno un 4+3).
Le cose più belle che ricordo non si sono sporcate nel tempo da tristi verità e non dipendevano neanche molto dal sistema universitario in sé, molto probabilmente dipendeva dalla cultura (in senso lato) degli studenti e dal loro spirito di vivere le facoltà. 
Ricordo che in biblioteca c’era sempre silenzio e non c’era bisogno di cartelli che ricordassero di non parlare al cellulare in bagno, perché nessuno mai si sarebbe sognato di farlo, tanto meno nessuno correva fuori per rispondere. Non che vigesse l’atmosfera del sacro tempio dello studio, ma sicuramente la gente andava lì per studiare e non  cercare un posto dove sedersi con l’aria condizionata.
Ricordo anche aule autogestite che erano luoghi di autoformazione tra seminari, tenuti da dottorandi o tesisti, con cineforum e dibattito finale. Ricordo che alcune di queste aule rimanevano aperte finché qualcuno dei ragazzi che si era assunto la responsabilità dello spazio non se ne fosse andato e così si poteva studiare anche tutta la notte.
Ricordo di aver sentito parlare di goliardia ma già allora si stavano estinguendo mentre cominciavano a spopolare feste erasmus frequentate da giovani allupate/i di stranieri che invece non frequentavano quel bordello.
Io sicuramente pretendevo troppo ad avere l’immaginario del circolo di letture di testi e club di scacchi di giorno con secchi di birra la notte, però lo scenario che mi si presentava nel non tanto lontano 2004 era equilibrato.

Oggi le facoltà chiudono presto perché d’estate c’è meno gente e così si risparmia sulla bolletta, le biblioteche di conseguenza e non ci sono più aule autogestite dove studiare, dibattere, incontrarsi e scornarsi.
Oggi si viene con il pc in biblioteca, lo si connette al wi-fi d’ateneo (che funziona mai a chi lo dovrebbe usare per studiare) e si fanno vedere agli amici le foto su facebook o video su youtube, si ride e si scherza a bassa voce e chissenefrega se c’è uno stronzo che invece ha una pila di libri davanti e un esame tra pochi giorni che ti chiede di fare silenzio.
Oggi si va ai seminari se e soltanto se rilasciano CFU senza fare esamino finale, e ci si va in questo caso anche se non ce ne frega nulla perché dobbiamo sbrigarci a laurearci non possiamo mica aspettare un seminario interessante che quei barbosi dei professori non organizzeranno mai. Però poi si perde un pomeriggio davanti i libri aperti in biblioteca a parlare delle scarpe che ti vuoi comprare per andare al matrimonio della sorella della cugina della parrucchiera.
Ricordo l’impegno politico condiviso da tutti anche se con idee diverse, oggi l’idea è che ti devi laureare, come se i motivi delle proteste non ti interessassero.

In fondo ad un corridoio ho imparato da un ricercatore di greco classico il principio della nonviolenza per cui non bisogna accusare mai una persona dei suoi atti se non abbiamo prima compreso cosa l’ha portato a compierli, capire di chi sia veramente la colpa. Allora penso che gli studenti universitari di oggi, più svogliati di quelli di ieri, non hanno colpa, sono cresciuti con mamma TV anziché in compagnia di fumetti e libri di favole, hanno perso molto interesse per le idee, ostentando la loro cultura materialista (non in senso marxiano evidentemente) e sono pieni di individualismo fatto di gruppi ristretti in cui si perde l’immagine dello status di studente universitario classicamente inteso. Come sono arrivati a ciò? Guardando alle loro spalle troviamo però la nostra generazione e sappiamo bene che crisi culturale e politica abbiamo e stiamo vivendo e non possiamo aspettarci di meglio.

Questo articolo però non può chiudersi semplicemente con l’arresa al tempo che passa e alle culture che cambiano ma spera di essere una riflessione affinché si trovi il coraggio e la forza, insieme ad altre riflessioni di questo tipo, di unirci per migliorare le cose almeno noi che sapevamo come era meglio.


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