Magazine Diario personale

Non ci sono più i locali di una volta….

Creato il 01 maggio 2012 da Lamagadioz


Alle volte mi domando se sono io che ormai navigo su un’altra dimensione e vivo costantemente in un mondo a parte o forse forse è il mondo che è cambiato, peggiorato in un certo senso. Forse è diventato un po’ banale, non lo so. Ma un tempo mi divertivo ad andare nei locali, ascoltare buona musica e bere qualcosa in compagnia. Adesso faccio fatica ad entusiasmarmi come mi entusiasmavo prima. Sto invecchiando…mi sto rincoglionendo. O forse sono stata per troppo tempo fuori da questa giostra che ora a salirci non mi diverto più…

E’ successo giovedì scorso. Mia madre non fa altro che parlarmi da tempo di un locale troppo figo in Piemonte di cui non dirò il nome nemmeno sotto tortura, dove si mangia una certa specialità della casa un po’ piccante (c’è solo quello o panini, niente vino, solo birra e scordatevi dolce o caffè) dove la regola è mangiare noccioline e buttare i gusci per terra, usare le mani per nutrirsi e dopo una certa ora ballare come bestie scatenate. Insomma, una stalla.

Mia madre e mio padre ci sono stati un paio di volte e ne erano entusiasti. Al che mi sono detta: Devo provarci anch’io!

Così giovedì scorso ecco l’occasione. Vado a trovare i miei genitori nel paesino del Basso Piemonte che ho lasciato per venire a lavorare e vivere a Milano, mentre loro sono ancora lì a lavorare. Mia madre mi fa la proposta: “Stasera ti porto in quel locale, lo devi vedere…è assolutamente favoloso!” mi dice sprizzante di gioia manco fosse una ragazzina (lo è in realtà, un’adolescente imprigionata nel corpo di una bellissima cinquantenne…). E io la guardo come una madre guarderebbe una figlia e uso lo stesso tono accondiscendente di una madre verso una figlia che le chiede il permesso per andare a una festa: “Va bene”, sussurro con un sorriso. Ed ecco organizzata la serata alla scoperta di questo megalocale della Madunnina…

Prendiamo la macchina per dirigerci verso questa Mecca dei poveri  (” mangi e bevi con poco e c’è pure la musica”…questo potrebbe essere il sottotitolo del  locale che ho in mente io, ma il gestore non penso sarebbe d’accordo…) con la speranza di beccare il posto alla prima, perché mia madre già mi avverte che con papà si sono persi diverse volte, vagando nelle langhe e chiedendo alla mucche  che direzione prendere…

Anche noi, ovviamente, ci perdiamo. Allora mi viene in mente il mio mitico Iphone e la mappa integrata di google…inserisco l’indirizzo, calcolo il tragitto ed eccola lì, la mitica linea blu che collega il punto verde al punto rosso. Noi siamo dal punto di partenza, ovviamente. Porgo l’Iphone a mia madre e le dico: “Vai, fammi da navigatore!”.

Apriti cielo. Mia madre ha un rapporto con l’Iphone come quello che ho io con le diete. Si chiama  sopportazione. La prima non può fare a meno della seconda\o ( e non viceversa) e quindi ci si sforza di comprenderne il senso. Mia madre mi giura di amare l’Iphone ma io ancora stento a crederle….

Lo prende troppo sul serio. Dannatamente sul serio. Così sul serio che io ho rischiato di prendere uno o due pali nel giro di pochi minuti. Su Google Maps sono segnate strade, incroci e rotonde in modo abbastanza chiaro, giusto? No, per mia madre una rotonda deve essere appunto rotonda, altrimenti è qualcosa di diverso. Così ad ogni rotonda lei mi diceva: “Qui c’è un leggero gomito, non saprei cosa sia, non so se devi uscire adesso o dopo” e lo diceva mentre io giravo intorno alla rotonda e la guardavo disperata perchè non sapevo dove andare! “Mamma, dove esco?”. E lei ancora titubante: “Non saprei, qui c’è un gomito…prova qui”. E io uscivo in un senso unico che finiva in una strada senza uscita e allora tornavo indietro e ricominciava il teatrino

“Mamma sono rotonde, non gomiti!”

“Ma non è segnato bene, non è tonda. E’ più un gomito”

“Ma che differenza fa? Dimmi dove devo uscire!!”

“Si si, ora…no prima…torna indietro!”

E io con la bava alla bocca giravo il volante e tornavo all’ennesimo gomito.

Dopo circa un’ora siamo arrivati. E il locale dista 20 km da casa. Vi ho detto tutto.

Parcheggiamo di fronte all’entrata, alle nove e mezza c’è ancora poca gente.

Entriamo e un ragazzo ci accompagna al nostro tavolo. Il locale ricorda un pollaio, però arredato carino. Tavoli e sedie in legno, bancone centrale dove si servono le bibite, musica di sottofondo carina.

Non prendiamo le noccioline per quesitoni di linea (il mio maledetto rapporto con le diete che vi accennavo prima…) ma ne vedo i gusci sparsi per tutto il locale, ricoprivano il pavimento e io pensavo allo sbattimento di dover ripulire quel macello che il gestore stesso vuole venga tassativamente fatto dagli avventori.

Che gusto c’è nel far sporcare il pavimento? Dov’è il divertimento? Se ti metto una ciotola sul tavolo dove buttare i gusci che differenza fa? Ah giusto, poi non somiglia più a una stalla…

:-D

Ci sediamo di lato al bancone centrale, su un tavolo alto, giusto nei pressi della cucina. Ci portano il menù, che come detto consiste nel piatto principale più qualche panino. La cameriera si avvicina per prendere l’ordine e noto i suoi tatuaggi che fuoriescono dalla maglietta, su entrambe le braccia…e  le unghie colorate  con, alternativamente, smalto argentato glitterato e smalto dorato altrettanto “glitteroso”. Le sorrido pensando all’Australia, dove non potevi metterti neppure lo smalto e i tatuaggi erano ammessi solo se ben nascosti…quisquilie…

Ordiniamo due birre piccole e due piatti della casa. I quali arrivano, giusto, dopo trenta secondi. Trenta secondi. Saranno mica stati già pronti? Naaaaaaa………

Mia madre tutta bella contenta mi augura buon appetito  e addenta la prelibatezza casalinga. Io seguo l’esempio ma mi fermo subito perchè quel’essere abbrustolito scotta come l’inferno..e come faccio a mangiarlo senza posate? Mi metto dei guanti di amianto? Decido di attendere e sbrano le patatine che a onor del vero, sono ottime.

Fin lì tutto bene. Poca gente, musica carina, cibo decente. La birra finisce in un Gulp! ma non ho cuore di oridinarne un’altra e mi accontento di acqua. A un certo punto, la “stalla” inizia a riempirsi. Entrano altre persone. Qualcuno per cenare, ma la maggiorparte solo per bere.

I camerieri fanno fatica a portare i piatti, devono dimenarsi in quella bolgia crescente e lo spazio per passare è minimo. Mia madre dà giusto le spalle alle cucina, i camerieri le passano davanti portando sette piatti per volta. E ogni volta le passano sempre più vicino perchè gli avventori aumentano in modo inversamente proporzionale al loro quoziente  intellettivo che impedisce loro di comprendere che nei pressi della cucina è meglio non accalcarsi, ma loro sembrano non badarci e si accalcano proprio in quel punto.

A un certo momento un brillantone (brillantone perchè già brillo, non per altre doti) con tanto di cappello bianco stile petroliere americano caduto in disgrazia, si avvicina al nostro tavolo con il birrozzo in mano e prova  a lanciare quello che secondo lui è uno sguardo da marpione. Io gli avrei lanciato la sedia in tutta risposta. Ma lui non desiste e avanza. Avanza così tanto che appoggia il gomito sul tavolo vicino a mia madre. Lei è in imbarazzo. Io inizio a prendere fuoco e lo fisso. Al che mi guarda e fa: “Ti spiace se mi appoggio qui?”. Probabilmente pensava che gli avrei risposto di no, che non mi dispiaceva,  ma il poveretto era capitato male. Mi sono limitata a un “Ti spiace appoggiarti sul bancone del bar?” indicandoglielo con la manina. Lui mi ha chiesto scusa ed è sparito.

L’ho rivisto poco dopo che provava a fare il J.R. dei poveri con due donzelle sedute al bancone del bar…non se lo sono filate di striscio e da quel momento è sparito. Che l’abbiamo cacciato dal locale?

Nel frattempo altri “animali” accorrevano alla “stalla”. Mia madre era ormai un tutt’uno con la tapezzeria, la baciava quasi per poter dare spazio ai camerieri che ormai la scavalcavano per evitare gli “intelligenti”avventori che non ne volevano sapere di togliersi da lì.

All’ennesimo passaggio mia madre per poco non addenta le patatine, ma poi si trattiene e torna a decorare la tapezzeria, incerta su come proseguire la serata: rimanere attacata al muro o cercare di fare qualcosa?

Nel mentre di tutto questo, due ragazze sedute al tavolo di fianco al nostro non facevano altro che sorriderci e osservarci. La qualcosa mi metteva a disagio, e mia madre era così a disagio che avrebbe voluto trasformarsi in quella tappezzeria che ormai considerava parte di sè..

La stalla era ormai piena. Il Dj incitava allo scatenamento dell’inferno di massa in versione Russell Crowe annaquata e con pesante accento piemontese…la musica aumentava di volume, i piatti che passavano sotto lo sguardo allucinato di mia madre erano sempre di più e io cominciavo a chiedermi che cosa mi trattenesse lì.

Nel giro di pochi minuti, in teoria, sarebbero cominciate le danze. E dove ballavo? In testa a mia madre?

Non c’era spazio per muoversi, i camerieri ormai calpestavano la gente, eppure la gente continuava a entrare, entusiasta.

E ho cominciato a chiedermi perché pure io non fossi entusiasta. Erano tutti contenti di stare stipati come bestie in un posto con gusci di noccioline al posto del pavimento, spazio vitale pari a zero e camerieri che lottavano per la sopravvivenza. Come mai io non vedevo l’ora di andarmene? Ho guardato mia madre che a poco a poco si era staccata dalla tapezzeria, e le ho chiesto: “Beh…tutto qui? Sarebbe questo il mitico posto? Che cosa c’è di mitico”?

Lei ha sgranato gli occhioni e mi ha detto: “Niente, uno si passa la serata. Anche schiacciato, in mezzo ai gusci di noccioline e al casino. Con 15 euro hai cenato e forse ballato”. Ho capito, con pochi euro uno si passa la serata. Ma che serata è?

Allora piuttosto sto a casa con amici. Che senso ha divertirsi in quel modo? Quando ero più giovane andavo in discoteca e me ne fregavo del poco spazio vitale e del casino…ma adesso non è più come allora. Eppure in quel casino c’erano ragazzi della mia età e pure più grandi, non c’erano ragazzini disposti a farsi stritolare tra le patatine e le noccioline pur di divertirsi!

Io non mi entusiasmo più per queste cose. Non ci riesco. E rimango di sale quando vedo che invece c’è tanta gente che si diverte così. In quel momento volevo solo andarmene. Ho detto a mia madre che potevamo telare e lei mi ha seguito contenta della mia decisione.

A fatica, tra spintoni, gomitate e urla siamo uscite dalla “stalla”.

Una ventata di aria fresca mi ha fatto riprendere del tutto, lì dentro ero come lobotomizzata da tutto quel casino.

Mi sono fermata subito dopo essere uscita. Non volevo credere ai miei occhi. Non poteva essere vero.

Dall’entrata fino alla fine del parcheggio del locale, una fila di gente aspettava al freddo di poter entrare nel locale.

C’era la file per entrare in quel massacro! Non è come la discoteca dove bene o male un angolo vitale si trova sempre e la gente va e viene in continuazione…lì dentro si entrava e basta e non si usciva prima dell’una…la gente ci andava apposta…sceglievano appositamente di farsi schiacciare in quella bolgia e bere, se riuscivano ad arrivare a prendere la cannuccia.

Ero sgomenta. Io ne ho visti di locali, ne ho viste e fatte di file, ma avevano un senso. Una volta dentro avevi una certa speranza di divertirti o almeno di muoverti e bere. Laggiù era l’inferno. Eppure c’era gente che faceva la fila per entrarci!

Mi sono letteralmente fiondata in macchina con mia madre e sono partita. Mentre uscivo dal parcheggio, vedevo altre macchine sopraggiungere e cercare posto per poter entrare in quel macello. Ero incredula.

Grazie al cielo il ritorno è stato meno traumatico dell’andata: abbiamo trovato subito le indicazioni per tornare al nostro paesello e in venti minuti eravamo a casa. Però quasi quasi mi è dispiaciuto aver azzeccato alla prima la strada: cercare quella stalla-locale, perdersi in quei campi e in quei “gomiti” con mia madre che litigava con l’Iphone è stata la cosa più divertente della serata!

:-D

Ormai le serate in locali del genere non mi dicono più niente.

Sto invecchiando, sto cambiando o mi sto semplicemente rincoglionendo. Non lo so. In ogni caso, sono contenta di essere così.

Molto, molto contenta.

La Maga invecchiata


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