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Non confondiamo uno sfilatino con The Wall

Creato il 24 maggio 2012 da The Book Of Saturday

Non confondiamo uno sfilatino con The Wall

Torno sul tema del diritto d’autore, annoso dilemma sul quale ogni ramo del pensiero umano (sia esso economico, sociale, filosofico) sta cercando di capirci qualcosa, aprire una strada di mezzo, un compromesso tra il tutto o niente. Quando si parla di diritto d’autore, si parla di economia, di mercato, una protezione di un prodotto dalle grinfie della pirateria. Quanto accadeva ieri con le copie in cd, è nulla rispetto a quanto avviene oggi con internet. Ne ho parlato tanto, e continuerò a farlo. Conscio che la via per una soluzione sia insita al dibattito, mi riservo allora alcune riflessioni su un recente commento pubblicato dallo scrittore Elvio Baccarini sulla Voce del Popolo, quotidiano degli Italiani dell’Istria e del Quarnero.

Titolo: “L’egalitarismo liberale tra rivoluzione e liberismo”. Ho capito subito che il Baccarini intendeva parare sulla politica. Qui, il muro contro muro non è però tra destra e sinistra (intese nella storica concezione del loro essere), ma tra due concetti basculanti tra l’una e l’altra sponda: permesso e divieto. Insomma, bianco o nero. Baccarini spiega che può esserci una via di mezzo tra la protezione totale di un bene e la sua deregulation. La prende alla lontana, attaccando il filosofo sloveno Slavoj Žižek, di recente visita a Zagabria, accusato di essere poco chiaro: «Questi appartiene a una scuola filosofica che ha fatto della non comunicabilità il proprio biglietto da visita». Circa la presunta incomprensibilità di tale scuola, il Baccarini attacca: «Ne sono stato vittima recentemente in occasione di un dibattito organizzato dagli studenti sui diritti d’autore e la lotta alla pirateria, soprattutto su Internet».

Mi aspettavo allora una dissertazione sulla chiarezza, chiara essa stessa. Nulla di tutto questo. Il seguito preferisco riportarlo integrale per poi commentarlo nelle parti sottolineate.

«Gli studenti – spiega dunque Baccarini – hanno invitato un rappresentante per ciascuna delle tre principali prospettive su questo tema (e, in generale, sui temi di giustizia sociale). Un collega fautore del pensiero liberista che sosteneva che il diritto degli autori deve essere assoluto e che chi non è in grado di pagare personalmente un prodotto intellettuale non ha alcun diritto a possederlo. Una collega critica in modo frontale nei confronti dell’ordinamento capitalista e che, se ho capito bene, rifiuta in modo assoluto ogni regolazione della proprietà intellettuale che possa impedire alle persone di accedere in modo incondizionato a ogni prodotto intellettuale (dove il “prodotto intellettuale” è interpretato in modo esteso, includendo anche, ad esempio, le canzoni di Madonna o di Michael Jackson). Io ho sostenuto una posizione coerente con l’approccio alla giustizia sociale al quale aderisco, una concezione che si chiama egalitarismo liberale. Ho cercato di sostenere una distinzione tra prodotti intellettuali legati ai beni primari (ad esempio, salute, cibo e benessere in un livello sufficiente per poter pianificare una vita vissuta in modo dignitoso) e altri prodotti come le canzoni popolari indicate dalla collega rivoluzionaria. Personalmente, non riesco a vedere alcuna interpretazione, anche molto estesa, di alcun diritto umano che possa garantirci la possibilità di ascoltare, ad esempio, le canzoni di Madonna. Si tratta di musica commerciale e il destino degli utenti, come quello di chi la produce, deve essere lasciato al mercato – alla volontà e alla possibilità di spendere per ascoltare questa musica. Un discorso simile vale, tra l’altro, anche per i film commerciali, un altro frequente prodotto della pirateria. La salute (e quindi, tra l’altro, la disponibilità di cure) è, invece, un bene primario e in quanto tale non può essere soggetto alla capacità di sopravvivere sul mercato. Spero di essere riuscito a esprimere in modo sufficientemente comunicativo le ragioni per le quali non accetto né la concezione, chiamiamola, rivoluzionaria (nel senso che mi sembra opposta in modo frontale all’ordinamento capitalista), né la concezione liberista che fa della capacità di sopravvivere sul mercato una regola assoluta. Nella proposta che abbraccio vi sono cose che devono essere lasciate al mercato (ad esempio, forme di divertimento o oggetti che riguardano la soddisfazione di scelte particolari) e altre cose che devono essere assicurate a ogni persona, precisamente i beni primari».

Ora, appena letto sono rimasto perplesso su questo pensiero. Ne avevo sentite tante, ma che un filone di pane, o un’operazione di appendicite possa rientrare nell’ambito del diritto d’autore, questa mi è nuova. Capisco la voglia del Baccarini di posizionarsi nel mezzo (così è più facile non prendere posizione e scagliarsi contro tutti), ma non si possono ritenere opera dell’ingegno, da dover proteggere, solo i beni primari. Quelli, a mio avviso, rientrano nella questione del diritto umano, come l’acqua, l’aria, ecc.

Eliminati tali beni dal discorso del diritto d’autore, il ragionamento del Baccarini già scricchiola, anche se regala ancora un paio di punti su cui dissentire. Quando spiega: «Personalmente, non riesco a vedere alcuna interpretazione, anche molto estesa, di alcun diritto umano che possa garantirci la possibilità di ascoltare, ad esempio, le canzoni di Madonna. Si tratta di musica commerciale e il destino degli utenti, come quello di chi la produce, deve essere lasciato al mercato – alla volontà e alla possibilità di spendere per ascoltare questa musica. Un discorso simile vale, tra l’altro, anche per i film commerciali, un altro frequente prodotto della pirateria». Non sono d’accordo, caro Baccarini.

1) Agli occhi di un amante dell’arte (quindi della musica tout court), concettualmente, e senza quindi giudicare il risultato finale, Madonna non vale né più, né meno di Bach: fa musica.

2) «Commerciale»: chi ha reso «commerciale» l’arte dovrebbe pagare, non l’appassionato. Chi ha reso l’arte un motivo di business con cd a 30 euro dovrebbe pagarla (e stiano tranquilli tutti, continuano a guadagnarci loro), non chi l’arte la ama, se ne ciba e ambisce a conservarla e divulgarla.

Nel merito mi sono già espresso e non entro. Sono d’accordo con il suo «egalitarismo sociale» (ma lo chiami come vuole) per cui ci sono «cose che devono essere assicurate a ogni persona, precisamente i beni primari». Ma per favore, non confondiamo uno sfilatino con The Wall



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