Magazine Religione
«Prof, ma con tre cinque si viene bocciati?»
Il decreto Gelmini dice che basta un cinque per essere bocciati. La realtà invece è un po' diversa, nel senso che spesso quegli eventuali cinque diventano sei e così si evita di ripetere l'anno.
Li vedo i miei alunni con la calcolatrice in mano a verificare la media e, a seconda dell'esito, rabbuiarsi o illuminarsi.
Io non sono tra quegli insegnanti che hanno accolto in modo positivo la reintroduzione del voto decimale nelle scuole del primo ciclo. Certo, dirà qualcuno, insegni religione e ti rode il fatto di non poter mettere il voto numerico anche tu. Può darsi, ma quello che mi lascia perplessa (e lo dice un'insegnante che i numeri li ha sempre usati per misurare gli esiti delle prove) è che all'espressione numerica del voto si è dato un senso che non esiste. Intendo dire che il numero è solo un simbolo linguistico che potrebbe essere sostituito da una parola, da una lettera o da qualsiasi altro segno grafico. «I numeri - come leggo nell'intervento del dirigente scolastico Sergio Cicatelli in Insegnare Religione n.5/2004 - sono un linguaggio molto più comodo, ma con essi si possono fare operazioni poco appropriate alla valutazione scolastica». Il mio pensiero ritorna allora agli alunni con la calcolatrice in mano e se posso giustificare il loro modo di fare, mi viene da dire, con tutto il rispetto dovuto, che la media dei voti è un'operazione che invece poco si addice al mestiere dell'insegnante. La normativa (vedi il DPR 122 del 2009) non parla mai di media se non in sede di esame conclusivo del primo ciclo e per l'attribuzione del credito scolastico nell'esame finale del secondo ciclo. La media quindi è una prassi scorretta (prendo ancora in prestito le espressioni usate dal dr. Cicatelli). D'altra parte un alunno che ha collezionato in successione 4-5-6-7-8 non può essere valutato nello stesso modo di chi ha la stessa successione di numeri in senso inverso (8-7-6-5-4): la media aritmetica è la stessa, ma credo e spero che la valutazione sarà differente. Una valutazione corretta deve tener conto dei progressi rispetto alla situazione di partenza, cosa che la semplice media aritmetica non permette.
Concludo con le parole del citato dirigente scolastico:
«Dovrebbe allora essere chiaro che il voto numerico produce più danni che vantaggi a una corretta prassi didattica, in cui la valutazione non sia vista come una sentenza che decide meccanicamente il destino dello studente ma sia un'occasione di accompagnamento e di sostegno alla sua crescita culturale e personale».
Ogni numero, insomma, dovrebbe corrispondere ad un giudizio. E allora mi viene da dire che, pur essendo noi insegnanti di religione confinati «in un'incerta e più debole condizione di inferiorità» espressa anche dall'averci negata la possibilità di valutare con i numeri, con i nostri giudizi esprimiamo la valutazione meglio «di equivoche scale decimali».
Aiutiamo quindi i ragazzi ad andare oltre il numero, per porsi invece in un atteggiamento di presa di coscienza dei propri punti di forza e di debolezza. Aiutiamo anche le famiglie a sentirsi coinvolte, nel rispetto reciproco dei ruoli e delle competenze, nel percorso scolastico dei propri figli che non può esaurirsi in un numero.
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