Non è adesso l’ho pensato anch’io dopo aver concluso questo romanzo autobiografico di Daniele Semeraro, vincitore della III edizione del Premio Letterario La Giara (2013).
Non è adesso – mi son detta – che devo recensirlo! E così, ho lasciato correre un po’ di tempo, perché l’intensità della storia mi aveva pervaso le ossa. La copertina lasciava intuire un tuffo nel passato e, in effetti, Daniele Semeraro ci ha portati nel suo.
Non sarà stato semplice scrivere questo romanzo così forte, insinuante. Daniele ha 14 anni quando il padre entra in uno stato depressivo e lui ne diventa un po’ ombra e un po’ vegliardo.
Siamo negli anni ’90, ai tempi in cui c’era il Festivalbar e Vasco Rossi cantava Vita spericolata o Quattro amici al bar, nella Puglia petrosa e asciutta di Martina Franca e dintorni, dove le estati diventano l’occasione di ritrovo di tutta la famiglia, il lavoro aumenta, le domeniche sono interminabili, non si sta mai fermi; anzi, ci si sveglia anche prima dell’alba nel periodo in cui si prepara la salsa.
Tuttavia, il tempo del racconto fa anche marcia indietro – solo per una breve sosta – fino a giungere negli anni del boom economico e delle migrazioni da Sud a Nord, quando il padre di Daniele e altri “terroni” si sono trasferiti a Torino per cercare lavoro.
Cominciai ad avere paura la prima volta che mio padre sparì: un incipit del genere preannuncia una lettura non semplice. Così è stato, infatti. Non solo perché slittano di continuo piano della narrazione, piano dei ricordi e flusso dei pensieri dell’autore, ma anche perché ogni pagina pesa. Ci si sente addosso la tensione, l’ansia, la responsabilità di chi quasi non dorme la notte pur di sorvegliare e proteggere qualcuno che si ama intimamente, come il padre.
L’architettura letteraria è molto ben costruita ed è innegabile la capacità di mantenere la suspense. Ho apprezzato anche l’inserimento di alcune espressioni dialettali, tradotte in nota, più dirette e significative, almeno per chi mastica il dialetto di quelle zone.
Il racconto non si trasforma mai interamente in sfogo o lamento disperato o manifesto di impotenza. Tutt’al più, prende la piega leggera in alcuni tratti di ciascuna delle tre prospettive. Mi sono chiesta, all’inizio, perché rendere pubblica, attraverso la scrittura, una storia così personale. Se Daniele Semeraro avesse avuto bisogno di elaborare un episodio esistenziale così carico di pathos, non gli sarebbe stato sufficiente tenere un diario o ripercorrere la sua storia in maniera più individualista?
Invece no, ha fatto bene a “trasformarlo” in romanzo, perché la letteratura non è staccata dalla vita, anzi sono due entità che finiscono con l’identificarsi talvolta, come sosteneva anche Carlo Bo. Dunque, ha fatto bene, perché sono convinta che con la sua storia abbia potuto permettere a qualcuno di riconoscersi in una vicenda simile o ad altri di porsi la questione del benessere di chi abbiamo più vicino.
La letteratura diventa quindi esortazione a prendersi a cuore le persone che amiamo. E, soprattutto, a farlo in tempo, con vigore, con costanza, con determinazione e discrezione, con la forza dei piccoli gesti quotidiani.
Daniele Semeraro, Non è adesso-Na’ jè m’, Rai Eri, pp. 163, 13 euro.