Testimonianza di un giovane del Gruppo Ali d'Aquila, lesbiche e gay cristiani di Palermo, tratta da: livesicilia.it 16 maggio 2011
Non è facile essere come me
“Essere un giovane omosessuale a Palermo non è facile. Ho cominciato ad associare tutte quelle pulsioni che provavo verso le persone dello stesso sesso al concetto di omosessualità molto tardi, soltanto intorno ai vent’anni. Questo perché a scuola e in famiglia la sessualità era un argomento del quale non si discuteva. Se lo si faceva accadeva soltanto a scuola, tra compagni di classe, in termini ironici, e in chiesa in termini di peccato. Il mio carattere arrendevole e un po’ timido, ma non troppo, mi hanno un po’ protetto dai fenomeni di bullismo omofobico. Ma più trascorrevano gli anni più sentivo che mi mancava qualcosa di fondamentale.
Il Rinnovamento nello Spirito, gruppo ecclesiale che ho frequentato per anni come simpatizzante qui in città, oltre ad avermi fornito alcune esperienze positive, mi ha segnato profondamente nell’intimo, andando ad aggravare la mia già precaria condizione emotiva. Mi portò a credere insieme all’insegnamento della chiesa ufficiale, apparentemente meno rigida e fanatica rispetto alla congregazione sopra menzionata, che io fossi portatore di una malattia. Malattia che dovevo sopportare come una croce da offrire in espiazione dei miei peccati, osservando la castità e provando ad invocare una guarigione e liberazione, se questa fosse stata la volontà di Dio.
Inorridisco nello scrivere tutto questo pensando che fino a qualche anno fa erano queste, per me, delle verità immutabili ed inviolabili. Un inferno in terra. Ovviamente della faccenda non ho mai informato nessuno in famiglia, molto conservatrice e chiusa in se stessa nel suo piccolo e ristretto mondo, impermeabile a tutto e a tutti. Ne parlai solo con mio fratello ed una zia che mi era stata molto vicina, fino a quando sono riuscito a comprendere, non senza un lungo e travagliato percorso interiore, di voler essere felice e che per farlo, tra le altre cose, dovevo accettarmi e vivere serenamente per come potevo la mia sessualità. Non considerarla più come peccato, ma come parte integrante ed imprescindibile dell’armonico sviluppo psicofisico e morale di ogni essere umano.
Durante questo percorso ho incontrato prima alcuni frati francescani e alcune comunità ad essi collegate. Mi hanno fornito le basi per un timido inizio di accettazione in stretta collaborazione con una psicologa che, nel frattempo, avevo personalmente contattato per aiutarmi, dopo un periodo di crisi in parte legato anche alla mia paura di essere gay. Ho conosciuto per caso gruppi di gay e lesbiche cristiani presenti in Italia. Sulla mailing list di uno di questi gruppi, attraverso l’intervento di un mio ormai carissimo amico, ho saputo dell’esistenza di un gruppo simile anche qui a Palermo. Non potete immaginare la mia gioia nel venire a sapere che c’erano persone che condividevano i miei stessi ideali cristiani, ma che allo stesso tempo vivevano con una certa serenità la loro identità sessuale. Attraverso i tanti momenti di preghiera, di scambio di esperienze, di ritiri, di ascolto, di accoglienza e di condivisione, anche con le varie realtà ecclesiali e culturali che ci circondavano, per la prima volta nella mia vita ho avuto la possibilità di conoscere in questo gruppo (ospite di don Cosimo Scordato e della Comunità di san Saverio presso la Chiesa di san francesco Saverio) persone che come me si interrogavano sul senso della nostra condizione omosessuale alla luce della fede in Cristo.
Nel frattempo la realtà francescana mi era diventata troppo stretta, anche perché aveva iniziato a farne parte un gruppo di fanatici evangelizzatori di strada che a proposito di gay e lesbiche volevano attuare una sorta di terapia riparativa, stile Joseph Nicolosi (psicologo statunitense, ndr) e Narth (associazione nazionale per la ricerca e la terapia dell’omosessualità, ndr) associata a preghiere di guarigione e robacce simili.. Purtroppo esistono anche gruppi di sedicenti “ex gay” (vedi il gruppo fondato da Luca Di Tolve – per intenderci quello della canzone di Povia – che scimmiottano i loro simili americani. Ma, ancora più assurdo, esistono gruppi che vorrebbero contrapporsi perfino all’ Agedo (associazione che aiuta ragazzi e ragazze omosessuali, ndr). Questa gente approfitta dell’ignoranza della gente in materia, fa leva sui sensi di colpa di figli e genitori, scatena ansie, minaccia castighi divini, agisce come agiscono le sette, rigetta il pronunciamento dell’ OMS (organizzazione mondiale della sanità, ndr) del 1990, che ha depennato definitivamente l’omosessualità dalla lista delle malattie psichiatriche e l’ha classificata come variante naturale del comportamento sessuale umano.
Anche gran parte dell’attuale gerarchia cattolica ha sposato o simpatizza con queste idee infondate. Basti leggere quanto è scritto nel catechismo della chiesa cattolica e sui documenti, peraltro pochi, che si riferiscono all’omosessualità. Ancora oggi dobbiamo fare i conti con il pregiudizio che vede nella diversità una malattia, un’aberrazione , un’infezione da combattere per scongiurare un’epidemia. Anche il recentissimo diniego dell’utilizzo di una chiesa cattolica parrocchiale per la celebrazione di una veglia di preghiera per le vittime dell’omofobia, che comunque sì è pacificamente svolta sul piazzale antistante, è testimonianza del fatto che abbiamo a che fare con gente ignorante o addirittura che non vuol sentire e vedere e reagire per paura o per malafede. Allo stesso tempo però ho visto che dal basso qualcosa si sta muovendo, anche in piccola parte grazie al mio impegno. E’ qualcosa che dopo anni di buio contribuisce ad accendere in me una fiammella di speranza circa una possibile svolta positiva per la nostra martoriata città e più in generale per la nostra disgraziata Italia. In direzione di una piena accettazione delle persone omosessuali fino alla parità completa, fino a non aver più bisogno di organizzare Pride, veglie o altri eventi a tema. Questo cambiamento è reale perchè sta accadendo in prima battuta nel cuore di chi vi scrive…