Già, l’Italia è un paese di pensionati, non nel senso di rimbambiti come la intende Grillo, ma nell’effettivo significato della parola. Se siamo arrivati a questo punto però una ragione c’è. Non è mai stata effettuata una vera politica a favore della famiglia. Oggi ci si sposa, o si decide di convivere, ad un’età sempre più avanzata perché c’è sempre maggiore difficoltà a trovare un lavoro stabile e sicuro. Se poi lo si trova, spesso non viene adeguatamente retribuito. Se in famiglia lavora solo il padre, non ci si può permettere più di un figlio, perché mantenerlo costa. Se lavorano ambedue i genitori sempre di un figlio si parla, perché molto spesso mancano le strutture e bisogna forzatamente ricorrere all’aiuto dei nonni (i famosi pensionati rimbambiti) per fare da baby sitter ai bambini.
Tanti dicono che è anche una forma di egoismo perché in altri tempi, pur essendo più poveri, eravamo più prolifici e ci accontentavamo di sopravvivere: niente divertimenti, a scuola solo i più meritevoli o i più ricchi. Per quanto concerne l’egoismo non è del tutto esatto: non c’erano i metodi contraccettivi di adesso e le esigenze odierne sono molto aumentate. I figli allora erano considerati una ricchezza, oggi bisogna essere ricchi per metterne al mondo più di due. Così un paese che ha una natalità sempre più bassa, dove i giovani per lavorare sono costretti ad espatriare oppure restano in casa con i genitori fino ad un’età relativamente avanzata, si sta avviando al declino, se non addirittura all’estinzione. Ed infine, ci si mette pure il Papa che ha esortato a fare figli e a non riversare l’affetto sugli animali domestici. A parte che l’avere figli o meno è una scelta strettamente personale, nella quale giocano vari fattori oltre a quelli economici descritti sopra, tanti al giorno d’oggi non si sentono in grado di generare dei bambini per via del mondo che ci circonda: sempre più violenza, sempre più delinquenza, sempre più pericoli. Avere dei figli non è un obbligo: deve essere una scelta. E poi: chi stabilisce quale sia, anche per la Chiesa, il numero “giusto” di figli?