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Non è un paese per vecchi

Creato il 23 giugno 2010 da Femminileplurale

di varvarapetrovna

Non è un paese per vecchi

Stamattina leggo quest’articolo di Cesare Buquicchio. Un estratto da un saggio più ampio che si trova nel nuovo numero di Micromega. L’autore ragiona sulla situazione generazionale. La generazione fra i 30 e i 40 anni, che dovrebbe essere quella che, per giustezza anagrafica, tiene le sorti lavorative, sociali, politiche del nostro paese  sta invece ancora in panchina, perchè i nonni e i padri sessanta-settantenni non ne vogliono sapere di mollare il posto. Molti di loro sono ex sessantottini, che dopo aver protestato per la situazione sociale e politica del nostro paese e dopo aver ottenuto tante conquiste, hanno alimentato proprio quel sistema contro il quale combattevano. Probabilmente forti di queste conquiste e convinti del fatto che le generazioni future non saprebbero fare meglio, se ne stanno lì, perchè, come afferma Buquicchio, l’età anagrafica  è stata soppiantata dall’età apparente, da quella che ci si sente addosso. Così magicamente, causa le vicissitudini sociali, politiche, l’apporto dei media ecc, le parti sembrano invertite, i sessanta-settantenni si sentono trentenni, i trentenni si sentono sessantenni.

Non è un paese per vecchi

E' interessante notare due aspetti: in primo luogo, come è già stato detto, la generazione dei sessanta-settantenni ha fatto il ’68, sono la generazione di quelli che la situazione non gli stava bene, si sono alzati, hanno protestato e, per dio, hanno cambiato le cose. Voi, invece, trentenni-quarantenni siete quelli che si lamentano ma non fanno nulla, voi vivete ancora con mamma e papà e siete bamboccioni. Non importa se tu trentenne vivi con i tuoi perchè con una laurea in tasca non trovi uno straccio di lavoro perchè qualche sessanta-settantenne si sente ancora giovane e non vuole andare in pensione. Sono loro che hanno vinto.  In secondo luogo, la generazione dei trenta-quarantenni è la prima generazione cresciuta con la televisione. Per questo Buquicchio parla di trentenni immaginari, quelli che anagraficamente non hanno più trentanni ma si sentono ancora giovani, e i trentenni finti della tv, quelli che non lavorano ma condividono appartamenti costosissimi in grandi città, o quelle che fanno le giornaliste ma si possono permettere ogni settimana una borse da 200 euro e un paio di scarpe da 400.  Senza contare che anche il nostro linguaggio risente di questa situazione. Ci troviamo a parlare di giovani riferendoci a persone che hanno 30 o 40 anni, che dovrebbero essere considerate adulte, e ci troviamo a parlare di adulti riferendoci a persone che hanno 60 o 70 anni. I vecchi non esistono più, e i ventenni sono ancora bambini.

Mi chiedo: è giusto che un’intera generazione debba in qualche modo trovarsi a pagare le conquiste dei genitori e dei nonni invece di goderne, ed è giusto inoltre che un’intera generazioe sia praticamente priva di prospettive e di un futuro? Non sto cercando un capro espiatorio, e credo che ci sia un innumerevole numero di fattori (la gestione della politica e dell’economia solo per fare un esempio) che hanno portato a questa situazione. Tuttavia non è un caso che le femministe del ’68, oggi, che di problemi ne abbiamo, si siano messe a discutere se sia meglio dire ministro o ministra.

Illuminante Marco Paolini sul tema:


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