Non è un paese per vecchie

Da Marypinagiuliaalessiafabiana

Dopo Ancora dalla parte delle bambine, Loredana Lipperini realizza un altro capolavoro Non è un Paese per vecchie.

La prima opera analizzava la condizione delle bambine di oggi in Italia, degli stereotipi sessisti iperpresenti nell’età evolutiva, proprio in un età dove si sta formando l’identità personale di un individuo.

L’ultima, realizzata dopo tre anni, analizza la condizione delle donne non più giovani sempre nel nostro contesto nazionale, un Paese che relega l’invecchiamento femminile ad un invisibilità inquietante.

Sul blog della Lipperini si legge come è nata questa opera e perchè (i grassetti sono miei):

Non è un paese per vecchie nasce durante il giro di presentazioni di Ancora dalla parte delle bambine: tante, come sapete (centoventi). Nasce in un tardo pomeriggio d’inverno, presso la Feltrinelli di Bari, quando una signora, dal fondo della sala, si alza e mi chiede quando mi sarei occupata delle altre. Non le piccole, non le giovanissime: le vecchie. In quegli stessi giorni, nella metropolitana di Roma (già, la fatidica linea B), imperversava una campagna pubblicitaria anti-burocrazia. Nella locandina si raffigurava una vecchia signora disegnata secondo lo stereotipo- creduto morto – della zitella: vezzoso cappellino rosa con veletta, labbra a cuore, occhialini a farfalla. Le guance erano coperte di timbri e bolli. Lo slogan era “Ammazza la vecchia”.


Non è un paese per vecchie nasce con non pochi timori: parlare di infanzia chiama alla tenerezza e all’empatia. Parlare di vecchiaia suscita ripugnanza e orrore. La stessa parola “vecchiaia” è pronunciata di malavoglia: il saggio di Simone de Beauvoir, La Vieillesse, è stato tradotto in italiano con La terza età. Eppure, l’emergenza che riguarda i vecchi, e soprattutto le vecchie, è gravissima. Siamo il paese con più anziani: ma i nostri pensionati sono i più poveri d’Europa, e i meno assistiti. Siamo il paese gerontocrate e gerontofilo: questa, almeno, è l’immagine che viene fornita. Ma quanti sono i “vecchi” che davvero hanno potere, soldi, ricchezza? Quanti, rispetto all’esercito che è sotto la soglia di povertà?

Nel libro, ho cercato di raccontarlo: e di raccontare anche come, analogamente a quanto è avvenuto e avviene per le bambine, sia l’immaginario a fornire l’alibi a una pesantissima falla sociale. Molto semplicemente, l’Italia non si occupa delle fasce deboli: l’infanzia e la vecchiaia ricevono assistenza e accudimento solo grazie al volontariato delle donne. Da anni. Molto semplicemente, le narrazioni che riguardano la vecchiaia, oggi, sono falsate rispetto alla realtà.
C’è altro: perchè all’interno di un’emergenza anagrafica ne esiste un’altra, di genere: perchè le vecchie sono più povere dei vecchi, meno tollerate, più discriminate. Anzi: espulse. La vecchiaia femminile non gode neppure dei canonici attributi di saggezza ed esperienza. Per questo, alle donne è proibito invecchiare: devono, finchè è possibile, fingere di vedere nello specchio un’immagine diversa da quella reale, o i frammenti di quello specchio le distruggeranno, riservando per loro l’unico ruolo possibile. Quello della nonna. O, grazie a Mediaset, della Velona.
C’è altro ancora: perchè rifiutare la vecchiaia (nulla invecchia più, neanche gli oggetti) significa rifiutare la morte. E di morte è proibito parlare.  Io ho cercato di farlo.
Questo, in sintesi, è il percorso di due anni: Non è un paese per vecchie esce oggi, e da questo momento, come si suol dire, non mi appartiene più. Devo però dire almeno due grazie, fra i molti: uno è allo scrittore che mi ha regalato un capitolo (riguarda la morte, e riguarda la musica: metal, in particolare), ovvero

D’ Andrea G.L.. E uno è al commentarium: ritroverete qualche brano delle discussioni fatte qui in questi due anni. Poca cosa, al confronto di tutti gli stimoli che mi avete dato.
Grazie, di cuore.

 



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