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Non eravamo così male, allora

Creato il 10 maggio 2012 da Minerva Jones

E così ieri sono passata in università, dopo almeno 12 anni che non vi andavo. Imbarazzata dal mio ruolo di docente a contratto - io che mi dimentico sempre dello status che danno questi incarichi a progetto con i quali per un 50% credo di cambiare il mondo a piccoli passi e per un 50% sopravvivo economicamente - venivo salutata dai miei studenti sulle scale d'ingresso mentre accaldata dal percorso in bici mi rollavo una sigaretta (ebbene sì, ho questo vizio) nell'attesa di entrare.

E lì, davanti a tutti questi giovani rivoluzionari figli di nessuno che credono nella forza delle parole e della poesia da una parte e dall'altra parte agli incartapecoriti baroni con patetico codazzo di fighetti pluriraccomandati, ho incontrato una compagna d'università persa di vista così tanti anni fa che per entrambe era davvero un'altra vita.

S'è reiscritta, dopo aver appunto mollato anni orsono. Lei così geniale, che quando apriva bocca ci si incantava ad ascoltarla. Lei così libera nelle associazioni mentali tra le risorse di quelle letture che così affamata sembrava divorare. Lei che si perdeva in se stessa, e nei giri della sua mente, mentre io m'incantavo a guardare la sua bocca sempre socchiusa in un sorriso stirato mentre parlava e criticava canzonando l'autorità e il perbenismo bigotto, ottuso e castrante - riflesso d'un potere e di modelli che combattevamo e che ancora non ci stanno bene. Ora che la storia e la società li hanno definitivamente superati e sono solo come un cancro che non vuole abbandonare un corpo sano e ancora spera di ammorbarlo e portarlo alla morte.

Le solite cronache di ciò che è avvenuto negli anni in cui ci siamo perse, la gioia di ritrovarci, la felicità verso i ragazzi che oggi mettono su una situazione estemporanea per combattere questo mondo malato, e quelle parole che risuonano come qualcosa di famigliare in noi:

"Noi [...] sentiamo la necessità di riappropriarci di quel sapere che viene monopolizzato dalle autorità accademiche, cristallizzato in oramai antiche formule ottocentesche [...]. Noi sentiamo la necessità di riappropriarci di quel sapere che pervade il nostro quotidiano in quanto merce, come libro da comprare e poi ripetere, come dogma da assumere e rispettare nel suo essere un oggetto di formazione di giovani silenziosi, produttivi e disciplinati."

Quelle parole ce la dicevamo vent'anni orsono e oggi guardiamo con affetto chi le dice e prosegue in questo rifiuto d'arrendersi e conformarsi a qualcosa che è platealmente disfunzionale alla vita, alla felicità, anche solo allo stare bene.

Mi dici che ti sei sentita proprio a tuo agio, che t'è sembrato naturale parlarmi e raccontarmi - sofferenze e violenze patite incluse. Ti si fidata. Lo stesso per me nei tuoi confronti.

Guardo ancora la tua bocca che m'affascinava con quel sorriso - così consapevole - che non è cambiato.

"Non eravamo così male, allora, evidentemente", commento a mia volta facendoti l'occhiolino.

Anche se non siamo diventate persone di successo.

Anche se non siamo state dentro uno stupido modello standard (che comunque non esiste più) d'aspettative e sacrificio di sé (per chissà cosa).

Anche se non abbiamo fatto chissà quale carriera.

Anche se non abbiamo cambiato il mondo (pur desiderandolo, e avendoci provato, e continuando a provarci - forse con strategie diverse da allora - a oltranza).

Siamo rimaste appassionate, critiche, lucide e ancora solidali tra noi - malgrado tutto il male che abbiamo vissuto. Sincere. Vere.

Evidentemente non eravamo così male, allora.


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