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Non esserci

Creato il 13 dicembre 2010 da Andima

 

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foto:flickr

Il problema dell'emigrante è che egli non c'è, non c'è e non può esserci perché è semplicemente altrove, è andato via, è scappato, è soltanto emigrato, è andato a provare, ha iniziato a viaggiare, ha detto che torna presto, poi però rimane un altro anno e un altro e un altro ancora e alla fine rimane altrove, mentre nel suo paese non c'è, tra i suoi amici, a casa sua: non c'è. Ed è questo il problema dell'emigrante. Perché mentre vive all'estero e si ubriaca d'emozioni, di esperienze, cade, si rialza, piange, esulta, nei mille compromessi, tra difficoltà e vittorie, certo ci son tanti problemi da affrontare, da risolvere, a cui adeguarsi, ma uno tra tutti è quello dell'assenza, l'assenza dalle mura domestiche, dagli abbracci di chi ha condiviso la propria infanzia con lui ed i luoghi non più semplici oggetti ma parti del proprio essere, perché quando si cresce in un luogo poi se ne diventa parte e un muretto, una panca, un giardinetto o una piazza non son più semplici muretti o strade ma contenitori di ricordi, immagini e memorie.
E l'emigrante non c'è, non c'è tra le abitudini ed i compromessi in cui sono immersi tutti quelli che ha lasciato, non c'è in quell'intorno, non ne subisce le conseguenze, gli influssi ed i cambiamenti, non si deve adattare a cose poi divenute nel frattempo naturali per chi lì ha continuato ad esserci. E se per qualcuno questa assenza da schemi che siano politici, economici, sociali, se per qualcuno possa essere un vantaggio, una liberazione, una meta ambita e raggiunta, poi per altri si traduce in una sensazione, un sentimento strano al rientro, quel sentirsi quasi straniero a casa, davanti alla tv, tra i manifesti per la strada, durante una fila ad uno sportello. Stranieri. Perché non c'è stato, l'emigrante non c'è stato mentre questo cambiava e quello si adattava e l'altra cosa ancora nuova, in quel modo, e allora così e non in altra maniera; mentre lui scopriva un altro mondo, altri modi di pensare, di vedere le cose; e cambiava. E non è soltanto il proprio armadietto che magari la mamma ha adibito a qualche altro uso spostando il resto della sua roba da qualche altra parte, non è solo il senso unico sotto casa che ha cambiato direzione di marcia e lo fa sentire stranito mentre parcheggia, è anche quello ma c'è dell'altro, c'è che magari la coppia di amici adesso non sta più insieme, il gruppo di ragazzi si è diviso perché lui ha litigato con l'altro e lei ha cambiato abitudini; c'è che nel frattempo i genitori sono invecchiati, inesorabilmente, e ritrovarli a qualche mese di distanza poi fa un certo effetto; c'è che i nonni, sì i nonni stanno per morire e durante gli ultimi anni lui non c'è stato, è stato all'estero, è stato altrove, li ha visti a Natale, un pranzo estivo e forse a Pasqua. Quando arriverà quella chiamata, perché sì, prima o poi arriverà, ad annunciare la morte del nonno, tutti i sorrisi, le gioie, le soddisfazioni raccolte in anni all'estero cadranno come sabbia tra le mani, perché nel frattempo a casa la vita andava avanti, inevitabilmente, e lui non c'era, non c'era a vivere gli ultimi anni del nonno così come i primi anni del nipote, non c'era mentre il babbo aumentava i capelli bianchi e la mamme le rughe sulle mani. Non c'era e non potrà tornare indietro.
Certo, lo stesso problema può essere comune a chi parte da Catania per andar a lavorare a Milano, e anche lui è un emigrante, è andato altrove; ma la cosa magari diventa più marcata per chi deve contare le distanze in migliaia di chilometri, per chi spesso non può tornare a casa per un fine settimana ma ha bisogno di più giorni e spesso le vacanze a lavoro sono da schedulare minuziosamente per organizzare rientri e vacanze che non siano rientri. Certo può arginare il problema, può cercare di aumentare la frequenza dei ritorni, può telefonare più spesso con chiamate che non siano la solita filastrocca "che fai, come stai, che hai mangiato, che tempo fa", come lo potrebbe fare il catanese andato a Milano, ma sull'emigrante pesa ancora un altro fattore: è andato via, un via che oggi dovrebbe sembrare più leggero, ma che spesso pesa per non essere rimasto nei confini nazionali, in un intorno allora comune, in una scelta per alcuni addirittura egoista ma che invece non è altro che un fenomeno naturale sicuramente agevolato dai progressi moderni. L'emigrante lo sapeva, sapeva tutto questo prima di partire, ma ha prevalso la voglia di provarci, quel foglio bianco da riempire, magari la rabbia verso insoddisfazioni continue o soltanto quel bisogno incontrollabile di scoprire, di confrontarsi e condividere; e se non sapeva, se lo ignorava, se non pensava fosse così, poi con il tempo ne avrà compreso la presenza. E per quanto possa gioire, per quanto possa confermare la volontà di continuare, di rimanere altrove, perché è felice, perché sta bene, perché sta meglio, l'emigrante porterà sempre con se quel senso di assenza, costretto tra una smorfia amara, una lacrima passeggera o semplicemente una consapevolezza digerita, a convivere con esso.


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