Rimaneva sempre fermo nel suo angolino a casa e nessuno si sognava di spostarlo da lì, se non in casi eccezionali, improponibili per la versione da parete.
Era pesante e voluminoso, impossibile da portare appresso, collegato ad una presa a muro con il suo cavo, guinzaglio indispensabile al funzionamento.
Efficiente anche se saltava la corrente, in caso di chiamata si faceva sentire con una suoneria squillante, che doveva sempre rimanere la stessa, perché non c’era alcuna possibilità di cambiarla.
Per telefonare, prima si sollevava la cornetta e poi si componeva il numero telefonico: per ogni cifra si doveva infilare un dito – l’indice – nel foro corrispondente sul disco, che andava poi ruotato in senso orario finché non si fermava sul dentino di fine corsa. Quando il disco tornava indietro, si ripeteva l’operazione per ognuna delle cifre successive. A fine telefonata si riagganciava la cornetta.
Era e rimane il mio telefono preferito. Perché non devo continuamente ricaricargli la batteria. E soprattutto perché, con tutti i limiti che può avere, nel confronto con qualunque telefono fisso o mobile moderno, vince in longevità: il Siemens S62, dopo oltre cinquant’anni dalla sua prima chiamata, funziona ancora.