Magazine Diario personale

Non ha (ho) parole

Creato il 17 novembre 2014 da Lavostraprof

Oggi ho fatto un po’ di cosine, a scuola.
Ho preparato una lettera per dire alla CapaTórta che si deve muovere e convocare le famiglia di Reuccio e di CinCiùE, perché dove non arriviamo noi, o ci arriva lei o avvisiamo i servizi sociali (tanto io il modulo l’ho già pronto da mo’);
ho incontrato la prof. Ciclista che mi ha detto di non avvisare nessuno (manco la Capa) che ci pensava lei a tutto e risolveva tutto;
ho preparato una bella lezione per la mia flipped class (no, non nel senso che sono flippati; cioè, sì, sono un po’ flippati, ma qui vuol dire che loro si erano già portati avanti a casa con i miei materiali, e oggi dovevamo concretizzare);
ho controllato e ho notato che la connessione non andava, quindi la mia lezione se ne andava a ramengo perché l’avevo depositata da qualche parte sul web;

ho incontrato la prof Ciclista che mi ha cercato per dirmi che Reuccio, sì, ci pensava lei, faceva lei, chiamava lei, andava lei, curava lei, ma CinCiùE, no, perché è ingestibile
(ora, vedete, fino alla settimana scorsa mi ha detto che CinCiùE lei lo portava a fare un esame dignitoso e sufficiente in tutte le materie, che come lui ne aveva già incontrati diecimila, che era collaborativo e faceva tutto; adesso ha capito che CinCiùE è… CinCiùE, non beve latte ma solo il té, e a scuola dorme, e quando non dorme gioca col cellulare, e quando chiami il padre, assale il padre e strilla in cinese che mai l’ho sentito strillare così; e neanche parlare, se per questo; e comunque quando ha lezione con lei sta a casa, perciò, mi dice, chiama i servizi sociali che io firmo);
sono andata in aula a preparare la lezione mentre i virgulti erano in laboratorio di scienze, e a furia di chiavette e file depositati, la lezione preparata è tornata all’ovile anche senza l’Internet;
ho spostato un po’ di banchi per vedere se, in vece di otto file da tre (ehi, voi, lagiùùù, mi sentiiite?), potevamo fare sei file da quattro (non potevamo);
mi sono accorta di aver lasciato a casa “Bostik montaggio Kit la colla di montaggio super rapido” per incollare la tappezzeria dell’aula che cade a pezzi (sì, pure quello);
sono scesa per chiedere al bidello se aveva qualcosa del genere, senza ricordarmi che il bidello-receptionist è stato declassato a bidello normale e giù, in sua vece, c’era la bidella Braccino, che si chiude in bidelleria, inalbera un braccino con una benda e qualunque cosa tu le chieda risponde: non posso farlo, è troppo pesante
[il che mi insegnerà a non lamentarmi più dei bidelli e dei colleghi, perché sono subito punita con qualcuno di peggio];
sono ritornata indietro e mentre pensavo di prendermi una cioccolata gusto forte, 35 cent, la macchina non dà resto, mi sono imbattuta nella CapaTórta.
Potevo perdere l’occasione?
Potevo trascurare l’avvertimento?
Potevo ignorare che dall’ultimo collegio docenti (da cui se ne è andata tre quarti d’ora prima) non la vedevo più e non riuscivo a comunicare con essa?
Non potevo.
L’ho ingrugnata sulla porta dell’ufficio prima che riuscisse a chiudersi a chiave dentro e le ho detto:
“Preside, abbiamo due problemi”
E lei mi ha detto
“Cos’è questa? Una chiocciolina?”

[per chi stesse pensando che c'ho una bella fantasia, lancio un avvertimento: no, nemmeno nella mia più sfrenata immaginazione avrei potuto innestare un tale dialogo; esso è vero e veritiero]

Vi lascerei qui in sospeso, ma poi qualcuno potrebbe non dormire di notte, così continuo.
Sì, c’era una chiocciolina (tipo un guscetto grigio aggrappato allo stipite).
No, non so come ci fosse arrivata.
“Guardi, ho detto, non voglio neanche vederla (intendevo: la chiocciolina), ma devo dirle che Reuccio così, CinCiùE cosà, e per soprammercato Mentone ha già fatto due settimane di assenza”.
Lei mi guarda e fa:
“Ah, CinCiùE, quello violento”
Ora, che CinCiùE sia un bestione, e sia potenzialmente violento, ci può stare, ma che abbia fatto qualcosa di più che giocare col cellulare, dormire, e gridare contro suo padre quando l’ho sbattuto fuori di scuola (lui e il suo cellulare), per ora, no.
Comunque, siccome forse l’ho guardata un po’ stranita, continua:
“Va bene, bisogna far qualcosa”
Allora io l’aggiorno, sui servizi sociali, sulla prof. Ciclista e sulle assenze di Mentone, e poi tanti saluti.
Vado in classe.
Attendo i virgulti.
Arrivano dopo il laboratorio con quest’affare appena costruito pieno di molle e misure.
Si siedono.
Cominciamo la predica.
Sì, non la lezione, la predica.
Cominciamo: perché siamo in due, io e la prof. Conigli.
Predica di qui e predica di là. Non è questo il punto.
Il punto è che eravamo in due in classe, se no non vi racconterei nulla del Fatto perché mi direste che esagero. Che sono prevenuta. Che invento. Che sto partecipando a un concorso fantascientifico sulla Buona Scuola.
Invece ho una testimone.
Se volete le faccio firmare un affidavit.
Perché, finita la predica, ci siamo messi a cambiare i posti. Ora, in una classe normale, si cambiano i posti e amen. Nella nostra aula, c’era un alto lavoro di ingegneria da fare. Abbiamo persino messo i banchi perpendicolari rispetto alla loro posizione normale, ma non ci entrava più nessuno. In dieci hanno chiesto di venire al primo banco (posti disponibili: quattro). In sette, dopo essere stati spostati, hanno spiegato che non vedevano più niente: avevano davanti quelli alti, due pilastri, e la testa di uno basso ma ingombrante.
Insomma, eravamo lì con gli zaini per aria e i banchi sulle spalle quando si è aperta la porta.
Era lei.
Lei, la CapaTórta.

Ho subito chiesto perdono di tutto il male che avevo pensato; ho osannato il suo intervento immediato e pregnante; ho levato gli occhi al cielo e ho detto: eppur si muove; ho guardato la collega Conigli che

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sorrideva sollevata (anche lei ha pensato: eppur si muove); ho fatto segno di depositare i banchi e di attendere l’intervento del Superiore.
Lei è venuta avanti. Ha attraversato la nostra luuunghissima aula, si è fermata alla fine (già), si è girata e ha guardato i ragazzi.
Poi ha fatto il suo classico sorrisetto (vedi figu).
Poi ha rifatto il suo classico sorrisetto.
Io NON ho guardato la collega.
La collega (mi disse dopo) non ha guardato me.
Aveva paura.
I virgulti guardavano il sorrisetto e guardavano noi.
Dopo circa mezzo minuto di sorrisetto [se vi sembra poco, andate in classe guardate i virgulti e contate lentamente fino a trentotto, in silenzio, e sorridete nel vuoto], la Capa dice: bene.
Sorride.
I virgulti ci guardano fissi.
La capa dice: come va?
I virgulti zitti.
Poi una (delle più timide) che si vede che le cominciava la ridarolla, alza un po’ le spalle e dice: eeeh, bene, e ride, così le passa un po’ della ridarolla trattenuta.
E la Capa: allora?
E io: eeeh, stavamo cambiando i posti.
(eh, lo so, ma ccheddovevodì?)
E la Capa: eh, ma in questa aula…
(e io penso: in questa aula dove ci hai cacciato lasciando vuote le aule di sopra)
e dico: eh, in quest’aula è un bel problema.
E lei: eh, sì, sì. E poi tutti vogliono stare dietro, vero?
I virgulti la guardano, zitti.
La collega fa: eeeeh, insomma…
E lei: su, su, quanti vogliono venire al primo banco?
E in dieci alzano la mano.
E la Capa: ah, be’, ma che brutte pareti.
(vi ricordate del Bostik?)
E poi: allora, ragazzi, portate un bel manifesto grande così MI coprite tutti quegli strappi.
Sorrisetto.
Poi caracolla tra i banchi, riattraversa l’aula e se ne va.
Fine del Fatto.

E la collega continua a non guardarmi e dice: allora, finiamo di cambiare i posti.
Poi per fortuna è suonato l’intervallo e ci siamo potuti dimenticare del Fatto.
Anche se alla fine sono andata a cercare la collega e finalmente mi ha guardato, e si è messa a ridere e mi ha detto: meno male che c’eri anche tu, se no nessuno mi credeva.



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