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Non ho l’età…

Creato il 03 novembre 2010 da Fugadeitalenti

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Almeno del mondo dell’industria, l’Italia fa poco per i giovani. Eppure in questa fascia d’età ci sono delle persone capaci, alle quali bisogna offrire opportunità di crescita e di carriera. Le persone vanno valutate non in base all’età, ma alla capacità che esprimono. Nessuno in Ge mi ha mai chiesto: “tu quanti anni hai?“”: così Lorenzo Simonelli, uno degli “under 40″ più influenti al mondo, secondo la rivista “Fortune”, in una bella intervista a IlSOle24Ore.com, mette una volta di più il dito nella piaga della gerontocrazia imperante in Italia. Quella che valuta solo in base all’età e alla capacità di affiliazione personale o di clan, non in base al merito. Simonelli, 37 anni, è il più giovane amministratore delegato di sempre di una divisione della multinazionale americana. Resta da chiedersi che cosa avrebbe mai potuto combinare in Italia, a parità di età…

Intanto il tema della “fuga dei talenti” invade anche i convegni ministeriali: se ne è parlato la scorsa settimana in Friuli-Venezia Giulia, nell’ambito della “Conferenza dei Protagonisti Italiani nel Mondo“, promossa dal Ministero degli Esteri. Il messaggio che ne è emerso è certamente positivo (anche gli ospiti sono stati di alto livello): è giusto, sostengono gli organizzatori, celebrare le eccellenze italiane che tengono alto il nostro nome all’estero, ma la tesi dei “cervelli in fuga” non è nostalgica, come afferma il Ministro degli Esteri Franco Frattini.

Frattini propone un ribaltamento della questione indubbiamente suggestivo: basta piangere sui talenti che se ne vanno, piuttosto pensiamo a promuoverli e a fare network con loro, una volta all’estero. “L’allontanarsi dal proprio Paese è una condizione che si avvicina alla normalità, e che è destinata a essere sempre più considerata come un’esperienza di mobilità“, afferma Frattini. Parole sante, se pronunciate in un Paese normale. Ma l’Italia non è, per l’appunto, un Paese normale. Può infatti davvero suonare bizzarro -agli occhi dei nostri giovani professionisti espatriati- vantarsi dei loro successi all’estero, dopo che il sistema-Italia ha fatto poco o nulla per farli emergere qui. Anzi, in molti casi, gli ha proprio spalancato le porte dell’espatrio, facendo loro chiaramante intendere che qui non c’era posto. I pochi posti rimasti erano già stati assegnati ai soliti “predestinati”. Non è ribaltando la prospettiva del problema -da “cervelli in fuga” a “cervelli di successo”- che il problema stesso si risolve, come per magia. Altrimenti l’Italia rischia di finire per assomigliare a quel padre che, a forza di tenere a pane e acqua il figlio di talento, averlo umiliato per anni e costretto a fuggire di casa (preferendogli il fratello mediocre e “traffichino”)- va poi al bar a vantarsi con gli amici di quanto è bravo il figlio scappato, che fuori di casa ha fatto fortuna (quasi una parabola del figliol prodigo, ma al contrario…). Così non si risolvono i problemi strutturali, si scopa la polvere sotto lo zerbino.

Comunque l’idea di fare sistema e network con i nostri espatriati di successo è certamente un’idea positiva che condivido, purché abbia un concreto seguito e non si fermi alle buone intenzioni. E’ un primo passo, nel recupero delle nostre eccellenze all’estero. Finalmente abbiamo compreso che esistono. Finalmente abbiamo compreso che rappresentano il meglio dell’Italia. Finalmente potranno -così spero- tornare a dire la loro.

Ma torniamo ora al “pianeta Italia”, con qualche dato che ci fa proprio ben sperare…: il Giovernatore di Bankitalia Mario Draghi ha fotografato l’anemica crescita del Belpaese in un magro +1% per questo anno e per il prossimo, con una crisi che ha riportato il nostro Pil sui volumi di nove (!) anni fa. La disoccupazione reale, ha fatto intendere Draghi, ha superato quota 11% (contando disoccupati, cassintegrati e inattivi). Un bel quadretto da Paese che amministra -con qualche difficoltà- il suo inesorabile declino. Sul fronte giovani, un’interessante inchiesta del portale Studenti.it ha messo in luce come il 22% dei giovani abbia un contratto in scadenza, il 19& lavori a progetto e il 22% in nero: il totale fa 63%!In questa realtà costruirsi una famiglia o avere un mutuo sono scelte impensabili per molti“, sottolinea il portale. Secondo dati Eurostat, poi, nel 2009 ben quattro regioni italiane figuravano al top europeo per la disoccupazione giovanile: la Sardegna (sesta in questa “Top Twenty” al contrario, con il 44,7% dei giovani disoccupati), la Sicilia (decima, con il 38,5%), la Basilicata (undicesima, con il 38,3%) e la Campania (dodicesima, con il 38,1%).

Gli ultimi dati Istat non fotografano una situazione migliore, con una disoccupazione giovanile tornata -a settembre- al 26,4%. Alla domanda, postagli alla fine dell’ultimo Consiglio Europeo, su come si possa chiedere ottimismo contro la crisi a un Paese dove un giovane su quattro non lavora, il premier Silvio Berlusconi, accantonata improvvisamente la sua capacità oratoria,  si è limitato a un laconico “Beh…” (CLICCA SUL LINK PER ASCOLTARE). In evidente imbarazzo, quando la realtà finisce per cozzare contro la “rappresentazione della realtà”.

Il premio Nobel 2010 per l’Economia Christopher Pissarides, in una recente intervista a “La Repubblica”, ha ricordato come in Italia (al pari di Francia e Spagna), “si è creato un doppio mercato del lavoro, con posizioni di privilegio abilitate ad accedere al sistema di welfare, e tante altre abbandonate ad una flessibilità eccessiva, senza alcuna tutela“. Già, aggiungo io, peccato solo che in Italia non esista neppure la concezione di “reddito minimo”, in grado di fornire una qualsiasi rete di protezione ai giovani rimasti senza lavoro. Restano semplicemente allo sbando. Ed emigrano.

La situazione, comunque la si voglia vedere, è grave: con un premier ormai capace di attirare l’attenzione solo su danze africane di dubbia moralità, un’azione di Governo ostaggio di queste danze malate e declinanti, l’Italia è “in preda alla paralisi” (Emma Marcegalia), una paralisi che potrebbe invogliare altre decine di migliaia di giovani ad abbandonare la Penisola, impoverendola sempre più di capitale umano. La pochezza di opportunità per un giovane neolaureato è sotto gli occhi di tutti, l’economia è tutt’altro che dinamica. Un’economia che, tra l’altro, secondo Guido Rossi, è “ancora soffocata da rapporti omertosi, con una società oppressa dalle opacità che nascondono la sacralità del potere“. Il ritratto di un’Italia mafiosa e corrotta fin nelle budella. E ovvio che i migliori se ne scappano, che restano a fare?

Io spero solo che abbia ragione Irene Tinagli, che in un bell’editoriale apparso una decina di giorni fa su “La Stampa” auspicava che la crisi possa rappresentare un’opportunità per rivedere tanti nostri modelli, e ritararli sul futuro. La Tinagli fa l’esempio dei settori dell’educazione, della formazione professionale, del welfare, della mobilità internazionale. Crisi come occasione per disegnare una società nuova, moderna e proiettata al futuro, crisi come momento di rottura e di rigenerazione. Ma in Italia nessuno -all’interno della nostra “illuminata” classe dirigente- ha pensato di cogliere l’occasione, denuncia lei stessa: “per il momento la crisi è stata utilizzata semplicemente per giustificare tagli profondi, se non addirittura per bloccare alcuni processi di riforma. [...] Di fronte a questo scenario complessivo e desolante, anche le iniziative del nostro Ministero per le Politiche Giovanili [...] sembrano assolutamente inadeguate e irrilevanti, in una fase delicata come questa: quali talenti premieremo tra qualche anno, se non ci preoccupiamo di formarli e dare loro un’opportunità di crescita, di lavoro, di realizzazione?


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