Non ho più vent’anni. Menomale.

Creato il 03 aprile 2014 da Annachiatto @AnnaChiatto

Siamo seduti sul mio divano, parliamo per ore – dove per ore si intende alla lettera –, mangiamo biscotti e, tra un volo pindarico e un caffè, Luca mi spiega la teoria della pistola di Čechov mentre io gli tengo testa con gli aneddoti più bizzarri nei quali mi ritrovavo quando lavoravo con gli scrittori famosi – gente stramba, questi scrittori! –, passiamo dalla storia d’Italia raccontata da Indro Montanelli a Cattivissimo me: saltiamo da un argomento all’altro così velocemente che rispetto a noi il povero poeta Pindaro pare lineare e scorrevole. Pindaro.

Oggi il nostro volo atterra all’anagrafe: perché è così diverso a trenta non averne più venti, di anni?
In fondo è solo un decennio, e anche se la tua età inizia con il tre davanti puoi ancora rientrare nella categoria giovani del Festival di Sanremo, mandare il curriculum a aziende che impongono un massimo di età per essere assunti, andare a ballare o ai concerti, puoi ubriacarti in compagnia dei tuoi amici, potresti decidere di imparare a lanciarti con il paracadute, o avere un primo appuntamento, tutto ciò senza sembrare un disperato che non si arrende al passare del tempo.
Quando ero nell’altra decina non facevano che dirmi:
Se non lo fai ora che hai vent’anni?! Dopo cambia tutto.
Ma cos’è che cambia?
Io ora che ci penso faccio tutto quello che facevo prima, e con più consapevolezza. Giurerei di avere lo stesso sorriso, e con gli anni non ho più paura di dire cosa penso. E lo dico meglio, perché ora le persone mi ascoltano davvero.
Sono più bella. Sì, ho scritto bella. Farei a meno di qualche ruga intorno agli occhi, quello volentieri – le donne che affermano il contrario, e che millantano di essere affezionate alle zampe gallina perché gli ricordano i bei momenti vissuti, mentono o non credono nei miracoli delle chirurgia plastica.
Ora quei ragazzini sfacciati dei ventenni mi danno del Lei e da un po’, per educazione, mi danno della Signora, perché se non sembri una teenager il savoir faire impone che ti venga conferito questo titolo. Ma ci si abitua presto.
Eppure qualcosa cambia.
Quello che cambia – forse l’unica cosa che cambia – è che non c’è più spazio per i sogni.
Non fraintendetemi, io sono una sognatrice inguaribile, quello che intendo dire è che a un certo punto devi fare i conti con la razionalità: si può continuare a sognare, ma con moderazione.
A venti puoi ancora sognare di diventare il presidente degli Stati Uniti o di fare l’astronauta; se a trenta non ti sei ancora laureato e per pagare l’affitto fai il barman in discoteca penserai a quello come un’ambizione di gioventù.
A venti credi che l’amore della tua vita sia uno e che si può vivere secondo il detto due cuori e una capanna; a trenta è già un miracolo se credi nell’amore e hai un mutuo a tasso fisso.
A venti pensi che per un figlio hai ancora un sacco di tempo; a trenta entri nella soglia della paura e speri che al tuo orologio biologico si fermino le lancette.

A venti senti di avere tutta la vita davanti.
A trenta, vuoi o no, tiri le somme e se il bilancio non ti piace cadi in un pessimismo cosmico che Leopardi pare un giullare di corte.
A venti invidi quelli più grandi e a trenta critichi quelli più giovani.
È vero qualcosa cambia.
Ma io che ne so? Io ne ho venticinque, e il prossimo 27 giugno saranno otto anni che li festeggio: venticinque anni.


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