Albergo dei poveri
Ormai da tempo ci stiamo occupando degli innumerevoli primati del Regno delle due Sicilie. Un elenco lunghissimo che dimostra come questa realtà preunitaria sia stata florida e innovativa. Inutile dire che tutto il merito è dei Borbone, regnanti validi e lungimiranti, e delle capacità dei partenopei, popolo vivace e dinamico, sotto molti aspetti.
Non ci sono limiti per queste conquiste storiche. Nel campo imprenditoriale vanno annoverate Mongiana e Pietrarsa. Nel campo delle vie di comunicazioni invece va ricordata la Napoli – Portici. Per quanto riguarda il mare possiamo vantare la Ferdinando I, il Sicilia, il primo cantiere nel Mediterraneo, il Codice de Jorio e il ponte sospeso sul Garigliano.
Fiore all’occhiello San Leucio, il quale non solo rappresenta una peculiarità nazionale, ma storicamente mondiale. Un nucleo cittadino in cui si sono applicate concretamente concezioni comuniste e rivoluzionarie.
Oggi ci occupiamo del Real Albergo dei Poveri. Nel 1751 Carlo III di Borbone volle ospitare in un unica grande struttura tutti i poveri, gli orfani e i mendicanti del regno. La struttura, detta anche Palazzo Fuga, ‘o Reclusorio e ‘o Serraglio, disegnata dall’architetto Ferdinando Fuga, risulta essere la più grande d’Europa, nonostante, rispetto al progetto iniziale, non fosse del tutto completa.
Si tratta del simbolo della “pietà illuminata” che condusse l’operato dei sovrani borbonici. Un edificio tipicamente illuminista, rivolto all’accoglienza della popolazione più povera del Regno. La struttura riusciva ad ospitare circa ottomila sudditi. Gli ospiti del palazzo, suddivisi per sesso ed età, venivano quindi guidati in un percorso che li avrebbe portati ad una formazione vera e propria nel campo lavorativo.
Carlo III
Come centro di osservazione minorile, comprendeva due giardini, due palestre, l’infermeria, un refettorio con cucina, un’officina, un laboratorio artigianale, una scuola elementare e di psicotecnica, la direzione didattica e vaste camerate dove dormivano gli ospiti.
Questo lavoro, insieme ad altri progetti, dovevano rendere Napoli come una città modello rinascimentale.
Tra le tante attività che questo complesso ha ricoperto nel corso degli anni vanno ricordate: scuola di musica, centro di correzione giovanile, scuola per sordomuti, carcere e manicomio, accoglienza diseredati, accoglienza donne perdute. Tutto ciò senza perdere mai l’impronta caritatevole originaria.
Per quanto riguarda il programma di reinserimento dei poveri, era così articolati: maschi si dedicavano allo studio della grammatica, della matematica, della musica, del disegno o all’apprendimento di mestieri manuali come il sarto, lo stampatore, il calzolaio, il tessitore e il meccanico; le donne, oltre che allo studio, venivano formate nel campo della tessitura e della sartoria.
Per sostenere le spese che comportava tale entità contribuirono Carlo, la stessa regina Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo Napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche, il tutto per l’ammontare di un milione di ducati.
Maria Amalia
Il periodo di maggior splendore lo ebbe sotto la direzione di Antonio Sancio che seppe sfruttare al massimo le capacità intellettive e lavorative dei giovani.
Questo articolo si conclude qui. Incredibile come anche nel attualissimo campo del Welfare State il Sud sia stato avanti anni luce.