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Non mangiate i libri

Da Zarizin

Non mangiate i libriQuando Biagio se ne stava rincattucciato in fondo alla sala di lettura della Biblioteca, era come se tacesse tutto intorno. Sceglieva il suo libro e, accoccolatosi sulla poltroncina, si prendeva le ginocchia fra i gomiti e faceva scivolare i naselli degli occhiali fin sulla punta del naso. Un giorno leggeva le avventure del capitano Nemo, un altro si imbarcava per i mari maltesi con la Tigre di Mompracem, e cosí fantasticava. Quando finiva un libro, si premeva gli occhiali contro la fronte e già se ne stava per gli scaffali della Biblioteca a cercare una nuova storia, col naso puntato per aria. Per i libri troppo in alto Biagio si sfilava la cartella e la usava come predellina, con le braccia tirate in su.

Un giorno, leggendo la fine di un libro, l’indice gli finí in un buco fra le pagine. Era grosso e seghettato, dalla forma di fiore stilizzato, come nei quaderni da disegno. La storia finiva a mezzo, morsa dallo strappo fra le pagine, coi personaggi lasciati a mezze parole in bocca. Quando Biagio se ne andò a protestare, il bibliotecario diede in un gran sospiro. Gli prese il libro dalle mani e lo ripose dietro il banco, insieme a un mucchio di libri polverosi e dimenticati, anch’essi decorati qua e là dai piccoli morsi a forma di fiore. Di ritorno, il bibliotecario si sedette al banco senza dire una parola e riprese il suo lavoro. Biagio, per non saper che fare, se ne stette piantato lí a bloccare la fila dietro di lui. Allora il bibliotecario levò gli occhi. Disse: «Una colonia intera. Negli ultimi due mesi piú di mille libri son finiti cosí come il tuo». Ma poiché Biagio ancora non capiva, glielo dovette spiegare. «Topi di biblioteca,» disse «s’è provato di tutto. Ora di Natale avranno divorato tutto il primo piano».

Quando Biagio tornò nella sala di lettura, si sedette sulla poltroncina tutto imbronciato. Cavò dalla cartella l’astuccio dei colori e il quaderno di matematica, allora aperse il quaderno a metà e scrisse a grandi lettere nere: NON MANGIATE I LIBRI. Strappò le due facciate e le appese col nastro adesivo in cima allo scaffale di avventura. Quindi scelse un altro libro e si sedette sulla poltroncina. Ma non gli riuscí di legger molto, e se ne andò dalla biblioteca di cattivo umore, due ore prima del solito.

Il giorno dopo, tornato da scuola, Biagio andò di nuovo in biblioteca. Raggiunse il fondo della saletta di lettura e recuperò il libro abbandonato il giorno prima. L’avviso se ne stava ancora dove era stato lasciato, sullo scaffale di avventura, ma a Biagio sembrò che avesse tutta l’aria di non esser stato letto. Rimase a guardare alle due facciate appese come perso nei propri pensieri. Solo allora disse le sue prime parole sulla faccenda. «Mangiare libri,» mormorò fra sé «che cretineria!». «Vera e propria villania!» gli rispose, didietro, una voce. Biagio si voltò spaventato, a riconoscere l’ignorato interlocutore. Ma solo gli si presentò la vuota sala di lettura. Biagio sporse cautamente la testa oltre lo scaffale, in direzione dell’uscita, ma incontrò solo lo sguardo interrogativo d’una bibliotecaria. Súbito si ritrasse imbarazzato, affrettandosi a prendere posto sulla poltroncina. Si sedette e diede un paio di profondi respiri. D’un tratto la voce si riudí: «Che ci troveranno, poi?». «Chi è?!» rispose Biagio spaventato. Ma non ricevette nessuna risposta. Invece, d’in fondo la sala, si udí avvicinarsi il passo fermo della bibliotecaria. Biagio abbassò lo sguardo sul libro prima che la donna raggiungesse l’ultimo scaffale. Quando arrivò, se ne stette perplessa a indagare per qualche istante il fondo della sala, quindi fece per riprendere la via d’uscita, ma allora vide l’avviso. Con uno sbruffo delle labbra lo staccò di sopra lo scaffale e lo accartocciò tornandosene indietro. Trascorse qualche istante in cui Biagio riprese a poco a poco il respiro. L’eco dei tacchi della bibliotecaria si perse dietro l’ultimo scaffale, e la sala di lettura si fece di nuovo muta. Ancora, d’un tratto, la voce parlò: «Occorre esser prudenti!». Biagio questa volta la udí distintamente, allora, volgendo lo sguardo dove fino a poco prima era appeso l’avviso, finalmente lo vide. Stava, con le zampe posteriori penzoloni dall’ultimo ripiano dello scaffale, un topino grigio e vecchio, non piú alto di un palmo di mano, che lo guardava di sopra in giú, aspettando una risposta. «Sei stato tu a parlare, topolino?» chiese infine Biagio, stringendo il libro a sé come a proteggersi. «Vito è il nome,» rispose il topo «e non parlo: squittisco, ragazzino». Cosí dicendo si calò lestamente di due ripiani, sotto lo sguardo impaurito di Biagio, e raggiunse lo scaffale di fantascienza, appena sopra la poltroncina. Cosí che Biagio se lo trovò davanti al naso, con gli occhietti fissi che lo scrutavano pensierosi. «Di’, giovanotto,» fece a un tratto il topo «l’hai scritto tu, non è vero, quel divieto?». Biagio fece un lieve cenno con la testa. «Lo sospettavo,» disse il topo «non parli molto, ma hai l’aria sveglia». «Ti piace leggere?» chiese. Ma Biagio non riuscí a risponder nulla, e se ne stette rannicchiato sulla poltroncina col suo libro stretto al petto. Il topo allora continuò: «Occorre esser prudenti, dicevo. Al minimo errore si può essere scoperti. Mai alzare la voce, se non è per diversivo, ragazzo. O ci ritroveremo con la biblioteca divorata prima che si sia potuto leggere un solo libro». Biagio osò chiedere: «Lei non mangia libri, signor topo?». «Mangiar libri!» squittí fuori di sé il topo «di’, ragazzo, per chi mi hai preso? Mangiar libri! Tu non sai chi hai davanti!». «Non è dunque infestata, la biblioteca?» domandò Biagio. «Non dico questo,» rispose il topo posandosi una zampa sul naso «al contrario: l’edificio brulica letteralmente d’instancabili parassiti, pari alla tarma per audacia e al tarlo per appetito». «Ho sentito che in pochi mesi avranno divorato l’intero primo piano!». «Pochi mesi!?» esclamò il topo «poche settimane ancora e non rimarrà piú nulla dell’intera biblioteca, inghiottita come un unico enorme libro dalle fauci dei parassiti». «È terribile!» si lasciò sfuggire Biagio spaventato. Il topo diede in un sonoro «Shht!» e con un balzo fu in cima allo scaffale, come di vedetta al pennone di un vascello. «Non c’è da fidarsi a alzar tanto la voce,» lo ammoní il topo quando si fu accertato che tutto fosse tranquillo «i mangialibri tendon l’orecchio a ogni angolo di muro». Ripresa agilmente la posizione sullo scaffale di fantascienza, il topo tornò al suo discorso. «Terribile, certo, ma nulla ancora è perduto. E la nostra alleanza non potrà che portarci un passo piú vicini alla rivalsa sui mangialibri e alla loro disinfestazione». «Alleanza?» chiese Biagio con sorpresa. «Voglio sperare, giovanotto, di poter contare su di te come su di un alleato». «Alleato contro chi, signor topo?». «Ma contro i mangialibri, naturalmente!». Biagio stette immobile senza dire una parola, con il libro ancora stretto fra le mani. «Di’, giovanotto,» fece il topo indicando il grosso volume «lo leggi, quello?». Biagio indicò scioccamente al proprio libro, come a domandare «Lei parla di questo?». «Ne hai da leggere un bel po’, lí, ragazzo mio,» continuò il topo «ti andrebbe di leggerlo assieme? Come a suggello della nostra nobile alleanza. Che cosa leggi?». «L’Isola Misteriosa» rispose Biagio. «Ottima scelta,» approvò il topo con uno schiocco della lingua «avremo a leggere a dovizia!». «Vuol cominciar lei, signor topo?» chiese Biagio per cortesia. «Vito, ragazzo: chiamami Vito. Impara a chiamar le cose col loro nome, ragazzo, o ti ritroverai a mangiar libri prima che tu te ne accorga. Tuttavia legger qui è troppo rischioso. Vieni,» fece il topo con un gesto della zampa «ti mostrerò io un luogo adatto. Seguimi senza fiatare. Allerta, compare».

Il topo condusse Biagio fuori dalla sala di lettura, radendo quattamente i muri per passare inosservato. Attraversarono due sale prima di raggiungere le rampe per il secondo piano, quindi il topo, zizzagando fra i pioli del corrimano, portò Biagio sino al piano superiore, e, non visto, al terzo e infine al quarto, dove uno sportello serrato a doppia mandata conduceva al sottotetto. Il topo allora si intrufolò in una fessura della parete, lasciando Biagio da solo davanti al portello. Si udí un lesto rosicchiare, e pochi attimi dopo la serratura scattò, mostrando il topo didietro il portello spalancato. Biagio si infilò come poté all’interno della polverosa e buia soffitta, brancolando cautamente nell’oscurità e guidato dal solo squittío autoritario della sua guida. «Di qui, di lí, di là!» lo chiamava il topo, e Biagio, ora incespicando ora battendo il capo, proseguiva incerto. Finalmente giunsero a un’ampia sala colma di libri rosicchiati, illuminata da piccoli fori nel pavimento che permettevano alla luce dei piani inferiori di passare alla soffitta. Biagio assistette muto allo spettacolo dei libri divorati. «È qui che porto i pochi esemplari scampati ai mangialibri,» lo informò tristemente il topo «molti sono stati consumati quasi fino all’ultima pagina, ma non meno degli altri meritano il nostro rispetto. Io leggo quel che si può, quel che ancora rimane, e infine li lascio al loro eterno riposo». «Lei è dunque sempre stato il solo, Vito?» domandò Biagio. «Il solo» confermò il topo carezzando tristemente la catasta di libri rosicchiati. «Solo contro una intera colonia di mangialibri?». «È una vita rischiosa, lo ammetto, ma di leggere si vive, ragazzo mio. Io non ho scelta. Questo che vedi è il mio nascondiglio. Per anni è stato ignorato dai mangialibri, ma non è piú sicuro come una volta. Presto o tardi i mangialibri arriveranno anche qui, e allora sarà la fine». «Sono certo che i bibliotecari l’aiuteranno, Vito. Ci aiuteranno! Anche loro hanno a cuore la battaglia dei parassiti, e, a dire il vero, mi avevano messo allerta contro quelli come lei». «Giurano il falso!» squittí iroso il topo «Non credere, ragazzo, a quel che ti raccontano. Quelli che tu chiami bibliotecari stanno in cima alle gerarchie dei mangialibri. Conquistano falsamente la tua fiducia per tradire la nostra causa! Il Cielo mi è testimone, li ho visti io stesso piú d’una volta alimentarsi ignobilmente dei nostri preziosi volumi». Biagio rifletté incredulo. «Guarda tu stesso,» concluse il topo indicando ai fori luminosi del pavimento «qui è dove li spio senza poter essere osservato. Di qui paziento e aspetto l’occasione giusta, e quando questa mi si presenta, penetro al piano di sotto per salvare quanti piú libri mi sia concesso, o ne leggo avidamente per far sí che non possano piú cibarsene». Biagio guardò involontariamente al libro che teneva fra le mani. «Lascialo da parte,» disse il topo «ne leggeremo dopo con calma. Ora vieni. Di qui li puoi vedere. Stanno mangiandone proprio ora». Biagio si avvicinò a uno dei fori, mentre il topo accostava il muso a uno vicino. «Guarda,» lo incitò «tali e quali alle bestie». Biagio raggiunse la piccola apertura a guardò di sotto ai tavoli silenziosi di studenti concentrati, curvi sui loro libri a imparare, pagina per pagina, la loro conoscenza. Allora li vide. Prima uno, imbarazzato, poi di séguito tutti gli altri. Li vide mangiare i libri senza posa, strappando a pieni morsi le facciate e le copertine, empiendosi le bocche di pagine e pagine, trangugiando interi volumi sino a gonfiarsene inutilmente.

Il topo lasciò Biagio chinato sullo spiraglio, e prese a camminare su e giú per la soffitta con le zampe giunte didietro, come un vecchio generale sconfitto. Biagio si levò in piedi e vide il topo allontanarsi tristemente nel buio della soffitta. «Non te la prendere,» disse questi senza voltarsi «guardarli mi mette sempre di un pessimo umore». Quando fu scomparso in fondo alla sala, Biagio guardò di nuovo alla catasta di libri che ingombrava la soffitta. E finalmente li vide. Li vide consumati e rosi da morsi piú profondi che di un topo di biblioteca, morsi fatti da bocche cúpide e insincere, bocche che non saziano dalla fame, ma dalla paura. Biagio vide nei morsi seghettati di un topo, come fiori stilizzati, i miserabili morsi dell’uomo.

Emiliano Garonzi

Pubblicato in:Racconti

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