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Non mi si fraintenda, ho profondo rispetto per la soffere...

Creato il 19 dicembre 2013 da Lostilelibero

Non mi si fraintenda, ho profondo rispetto per la sofferenza e per il dolore, soprattutto da parte di tutti coloro che li hanno sempre interiorizzati, se li sono tenuti per sé fino a quando, evidentemente, la misura non è stata colma. Eppure permane ancora la maldestra sensazione che il malcontento sociale italiano di questi giorni presti comunque il fianco all’esercizio del cinismo.
La protesta che ne emerge è infatti di sistema, nel senso che reagisce alla struttura ma solo perché vorrebbe esserne maggiormente inclusa. Ci si accorge infatti dello Stato vessatore ed ingiusto solo ora, e questo perché, a differenza del passato, i cosiddetti “forconi” sentono in prima persona il peso di un’ingiustizia che gli produce una sofferenza, fosse anche solo quella sopravvalutata che pertiene esclusivamente alla sfera economica. La forza di questo malcontento non sta quindi nella pleonastica idealità ma, ben piantata in quella società democratica e del benessere a cui si richiama, nella stretta praticità. Una protesta che, a ben vedere, accorpa interessi particolari che solo accidentalmente collimano in un cahier de doléance comune, come nella Favola delle api di de Mandeville, la ricerca egoistica del proprio interesse favorirebbe l’interesse pubblico dell’intera società. E infatti si sta già muovendo qualcosa dalla parte di coloro che sostengono, altrettanto legittimamente, interessi divergenti rispetto a quelli che stanno agitando il Comitato del 9 dicembre: gli esercenti che vorrebbero tenere aperti i loro esercizi commerciali e i lavoratori che, tacciati di poca solidarietà (ma in realtà anche loro solidali anzitutto con sé stessi), se ne fregano chiedendo invece di poter lavorare tranquillamente. Non mi si fraintenda, ho profondo rispetto per la soffere...Anche Alfano e Letta, da uomini politici navigati, hanno capito che sarà sufficiente mettere questi diversi interessi l’uno contro l’altro per far velocemente evaporare la protesta di quella “minoranza”. Alfano rimesta già lo spettro dell’“eversione antidemocratica” e, molto più puntualmente, il Primo Ministro va ripetendo, peraltro non a torto, che i manifestanti non sono l’Italia intera. In questa zuffa per gl’interessi particolari sarà quindi sufficiente accontentare gl’interessi contingenti di una parte di quel presunto movimento unitario per decretare il fallimento della fortuita coesione popolare. La mai dimenticata strategia del divide et impera, che funziona solo incontrando l’inclinazione alla volubilità del “popolo sovrano”. Una rivoluzione democratica ma degli interessi individuali o delle corporazioni, per cui si chiede esclusivamente che venga vessato qualcun altro, n’importe quoi, basta che il fardello dell’oppressione statale lasci la presa su coloro che protestano in quel momento contingente. In realtà, esaltando quei particolarismi oggi così denigrati, si potrebbe anche facilmente nobilitare quella protesta “di parte”. Non è ai padri costituenti e alla Costituzione, né alla democrazia o al tricolore, che ci si dovrebbe infatti richiamare, ma alle radici che, sedimentatesi nei secoli, hanno composto il profondo sostrato della cultura e della morale italiana. Un non-popolo mediterraneo che ha fatto delle diversità di campanile un patrimonio di cui adesso si vergogna; un non-popolo anarcoide che si unisce solo per le partite della Nazionale di calcio; un’accozzaglia di genti per cui l’istituzione con la “i” maiuscola rimane ancora la famiglia e non lo stato, la patria o la nazione; un non-popolo profondamente contraddittorio e sfuggente, che ha voluto ironicamente chiamare la più compiuta espressione sociale dell’individualismo col termine di Comune e ha fatto al contempo della propria storia un melodramma. Non siamo tedeschi né americani, per l’italico popolo ancora oggi, benché inconsapevolmente, il “bene comune” è il “proprio bene”: “Franza o Spagna purché se magna”. E fintanto che non ci si vergognava ancora di questa singolarità fisiologica, come osservò il romantico libertario Lord Byron agli inizi dell’Ottocento sull’Italia: “non c’è legge e non c’è governo ed è meraviglioso quanto le cose funzionino bene”.

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