In un articolo sulla 27esima Ora viene riportata la testimonianza di Morgane Merteuil, una giovane donna di 25 anni, sex worker. Morgane Merteuil è segretario di Strass (il sindacato francese del lavoro sessuale, Syndicat du travail sexuel) e vive con la gioia la scelta della propria professione. Afferma che “prostituirsi può essere un modo di riappropriarsi del proprio corpo e della propria sessualità”. E per questo suo atteggiamento dice di sentirsi discriminata dalle femministe che propongono, a suo modo di vedere, un modello di emancipazione univoco e dogmatico, che esclude la prostituzione a priori. Da qui il titolo del suo libro, “Libérez le féminisme!“.
Per quanto mi riguarda, è una gran bella notizia che Morgane viva la propria sessualità per scelta e con gioia e ritengo che quel racconto della sessualità che tenga conto anche di queste esperienze è ben più credibile e autentico di un discorso “borghese o bacchettone”. A patto che si sia consapevoli che NON si sta parlando di prostituzione, ma di qualcos’altro.
La prostituzione non è riappropriazione. Non è scelta, non è libertà, non è gioia. La prostituzione implica la tortura, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento, l’emarginazione sociale, il ricatto. La distinzione sarebbe molto semplice: “prostituzione” per scelta (quanto? un 1% a essere generosi?) e prostituzione per schiavitù (tutto il resto). La tratta di esseri umani anche a scopo di sfruttamento sessuale è un business globale che si stima frutti circa 32.000.000.000 (leggasi 32 miliardi) di dollari l’anno. I numeri non sono un caso: mentre il Sindacato di Morgane conta 500 iscritti, in Francia le persone “impiegate” nella prostituzione sono stimate in 20mila – 30mila unità, con l’80% di stranieri. Che non sono sulle strade per vivere con gioia la propria libera scelta.
Forse basterebbe fare una distinzione linguistica tra sex worker e prostitute – e poi attenervisi con grande scrupolo. Perché fare confusione su questo sarebbe un po’ come confondere il lavapiatti con il titolare della catena di ristoranti. Una confusione, questa sì, un po’ borghese. E che alimenta la disinformazione in un contesto che ne è già saturo. Diversamente si rischia di trasmettere, pur non volendo, un messaggio tanto tragico da essere tragicomico: difendere il diritto di donne, uomini e bambini ad essere sessualmente sfruttati.