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“Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica” – Martha C. Nussbaum

Creato il 06 novembre 2011 da Temperamente

nussbaum«Sire, l’istruzione dell’uccello è completata».
«Vola?», chiese il rajah.
«No di certo!», gli venne risposto.
«Saltella?».
«No».
«Portatemi l’uccello», disse il rajah.
L’uccello fu portato e il rajah si accorse che era morto e che la sua pancia era piena di pagine di libri.


L’istruzione del pappagallo
è un’allegoria di Rabindranath Tagore sull’apprendimento passivo, che «dissecca l’anima delle persone, portandole all’acquiescenza verso le atrocità». Nobel per la letteratura nel 1913 e pioniere dell’istruzione in India, Tagore attribuì gli orrori della Grande guerra ai difetti culturali di quanti addestravano alla prevaricazione, al razzismo e al dominio sui popoli. Egli fondò una scuola tesa a formare persone in grado di pensare responsabilmente al futuro dell’umanità nel suo insieme, dando grande importanza alle materie artistiche e umanistiche. Oggi, proprio per questo motivo, il suo programma viene ignorato o deriso. La studiosa americana Martha Nussbaum, autrice di Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (il Mulino, 160 pp., 14 euro), rivendica invece l’importanza di un tale impianto pedagogico. La cultura umanistica, che non fa profitto e che perciò viene ritenuta superflua e sacrificabile, è la prima a risentire dei pesanti tagli all’istruzione. Tagli che costituiscono una violazione bella e buona della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, dove è scritto che «L’istruzione deve contribuire al pieno sviluppo dell’individuo, al rispetto, alla comprensione e alla tolleranza dei gruppi razziali e religiosi».

Nussbaum recupera allora la filosofia pedagogica di quei precursori come Tagore o John Dewey, le cui scuole, aperte a tutti senza alcuna discriminazione, praticavano la libertà intellettuale e il ragionamento socratico, facendo della cultura stessa un esercizio di alterità: a lezione si dialogava tutti insieme e ciascuno era poi invitato a estraniarsi dal suo punto di vista per assumere quello di un altro, sperimentando l’empatia e comprendendo le posizioni altrui direttamente dall’interno. Ma proprio oggi che le società democratiche sono così complesse (e multietniche), ciò non è più possibile, dato che l’istruzione, ormai su scala mondiale, punta solo al profitto e al superamento di anonimi test standardizzati che riducono tutto a passività, routine e burocrazia, mortificando il rapporto docente-discente e con esso il pensiero critico, la curiosità e la creatività di chi ha invece il diritto di essere formato meglio di un pappagallo che non saltella e non vola.

Personalmente, l’apprendimento passivo mi fa pensare a quel “farsi abitudine o meccanismo automatico” indicato da Cartesio, Montaigne e Pascal con l’espressione abêtir, che letteralmente vuol dire “abbruttire” e “inebetire” e che rimanda a bête, parola francese che designa la bestia e l’ebete. Ora, lo studio è ciò che permette di vedere il mondo e se stessi sotto prospettive di volta in volta diverse e più affascinanti, ricche, belle. Da esso deriva il piacere, il gusto, la curiosità di venire a conoscere se stessi e il proprio carattere o, come diceva Platone, il proprio dàimon, il proprio demone, sviluppando il quale si raggiunge ciò che i Greci chiamavano eudaimonìa, felicità. Direi perciò che i tagli alla cultura precludono le porte alla stessa felicità degli uomini, facendoli abêtir e trasformandoli in automi, in arance meccaniche.

Andrea Corona

Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica [2010], il Mulino, Intersezioni, Bologna 2011, 160 pp., 14 euro.


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