di Roberto Saviano
“Ciascuno cresce solo se sognato” è un verso di Danilo Dolci. Come tutti i versi geniali, quando li scopriamo, sembra come se le parole che li compongono, proprio in quel preciso ordine, abbiano sempre fatto parte della nostra vita. Ci sembrano le parole più semplici da dire eppure le più necessarie. “Ciascuno cresce solo se sognato” significa che io cresco solo se faccio parte del sogno di qualcun altro, significa che perché una comunità cresca, a volerlo – anzi, a sognarlo – devono essere le persone che ne fanno parte.
Non smettiamo di sognare
Ciascuno a suo modo, ciascuno nel suo sogno includerà un frammento. Ciascuno con le proprie inclinazioni. Quando ho iniziato a scrivere l’ho fatto perché sognavo una terra diversa. L’ho fatto perché sognavo che attraverso le storie che raccontavo la mia terra potesse riconoscersi e ritrovarsi.
QUANDO HO INIZIATO A SCRIVERE sognavo la mia terra e nei miei sogni quella terra ha iniziato a vivere. Ma ci sono momenti in cui sognare sembra difficilissimo. Ci sono momenti in cui tutto ci sembra lecito tranne che sognare. In cui le contingenze sono talmente pressanti, in cui il quotidiano è talmente difficile, che il sogno sembra il vezzo dell’intellettuale o l’ultima speranza del disperato.
Ci sono momenti in cui il nostro sogno – a noi stessi prima che agli altri – ci sembra inutile. Perché continuare a scrivere storie di criminalità e di morte, di flussi di denaro e polizie, di ingiustizie e di democrazie in pericolo? Perché farlo se poi nulla cambia? Perché farlo se anche solo una persona, ne basta una, ti verrà a dire che ha letto ciò che hai scritto ma che il mondo fa sempre schifo? Che nulla cambia nonostante tutti sappiano ciò che accade? Confesso che mille volte mi sono chiesto, nei mesi scorsi, se fosse questo il momento per scrivere e pubblicare un libro sulla cocaina, un libro sul narcotraffico internazionale.
Mi sono chiesto se fosse davvero questo il racconto di cui le persone avessero bisogno ora. Di cui io avessi bisogno ora. Mi sono chiesto se non fosse questo piuttosto un tempo da fiction, da invenzione, da svago. Un tempo per l’evasione più che per l’impegno.
LA RISPOSTA L’HO TROVATA nel mio sogno, lo stesso di un tempo. Il sogno di un mondo che conosce e lotta proprio perché conosce. La risposta l’ho trovata negli sguardi e nelle parole delle persone che incontro. Non è vero – come a volte si può credere – che gli italiani siano ormai rassegnati al “niente può più cambiare”.
Da qualche settimana sto incontrando i lettori nelle librerie e nonostante la mia scarsa libertà di movimento, il mio essere talvolta impacciato tra tanta gente, mi ha colpito che a sentire le mie parole e a stringermi la mano vengano persone di tutte le età. Moltissimi adolescenti accompagnati dai genitori, come fosse una festa o un concerto. E nei loro occhi c’è un sogno, quello del mondo che stanno vivendo.
POCO IMPORTA CHE L’ITALIA sia in crisi, che non ci sono soldi, che non c’è un governo, che continuino a ripetergli che non avranno prospettive, che per loro non ci sono possibilità. Loro sanno che a dirlo è chi ha smesso di sognare l’altro. Di chi ha smesso di sognare loro.
da L’espresso, 9 maggio 2013