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Non smettiamo di sognare

Creato il 22 maggio 2013 da Gemusic

di Roberto Saviano

“Ciascuno cresce solo se sognato” è un verso di Danilo Dolci. Come tutti i versi geniali, quando li scopriamo, sembra come se le pa­role che li compongono, proprio in quel preciso ordine, abbiano sempre fatto parte della nostra vita. Ci sem­brano le parole più semplici da dire eppure le più necessarie. “Ciascuno cresce solo se sognato” significa che io cresco solo se faccio parte del sogno di qualcun altro, significa che perché una comunità cresca, a volerlo – anzi, a sognarlo – devono essere le persone che ne fanno parte.

Non smettiamo di sognare

Non smettiamo di sognare

Ciascuno a suo modo, ciascuno nel suo sogno includerà un frammento. Ciascuno con le proprie inclinazioni. Quando ho iniziato a scrivere l’ho fatto perché sognavo una terra diver­sa. L’ho fatto perché sognavo che at­traverso le storie che raccontavo la mia terra potesse riconoscersi e ritro­varsi.

QUANDO HO INIZIATO A SCRIVERE sognavo la mia terra e nei miei sogni quella terra ha iniziato a vivere. Ma ci sono momenti in cui sognare sem­bra difficilissimo. Ci sono momenti in cui tutto ci sembra lecito tranne che sognare. In cui le contingenze sono talmente pressanti, in cui il quotidia­no è talmente difficile, che il sogno sembra il vezzo dell’intellettuale o l’ultima speranza del disperato.

Ci sono momenti in cui il nostro sogno – a noi stessi prima che agli altri – ci sembra inutile. Perché continuare a scrivere storie di criminalità e di morte, di flussi di denaro e polizie, di ingiustizie e di democrazie in perico­lo? Perché farlo se poi nulla cambia? Perché farlo se anche solo una perso­na, ne basta una, ti verrà a dire che ha letto ciò che hai scritto ma che il mon­do fa sempre schifo? Che nulla cambia nonostante tutti sappiano ciò che accade? Confesso che mille volte mi sono chiesto, nei mesi scorsi, se fosse questo il momento per scrivere e pub­blicare un libro sulla cocaina, un libro sul narcotraffico internazionale.

Mi sono chiesto se fosse davvero questo il racconto di cui le persone avessero bisogno ora. Di cui io avessi bisogno ora. Mi sono chiesto se non fosse questo piuttosto un tempo da fiction, da invenzione, da svago. Un tempo per l’evasione più che per l’im­pegno.

LA RISPOSTA L’HO TROVATA nel mio sogno, lo stesso di un tempo. Il sogno di un mondo che conosce e lotta pro­prio perché conosce. La risposta l’ho trovata negli sguardi e nelle parole delle persone che incontro. Non è vero – come a volte si può credere – che gli italiani siano ormai rassegnati al “niente può più cambiare”.

Da qualche settimana sto incon­trando i lettori nelle librerie e nono­stante la mia scarsa libertà di movi­mento, il mio essere talvolta impac­ciato tra tanta gente, mi ha colpito che a sentire le mie parole e a stringermi la mano vengano persone di tutte le età. Moltissimi adolescenti accompa­gnati dai genitori, come fosse una fe­sta o un concerto. E nei loro occhi c’è un sogno, quello del mondo che stan­no vivendo.

POCO IMPORTA CHE L’ITALIA sia in crisi, che non ci sono soldi, che non c’è un governo, che continuino a ripe­tergli che non avranno prospettive, che per loro non ci sono possibilità. Loro sanno che a dirlo è chi ha smes­so di sognare l’altro. Di chi ha smesso di sognare loro.

da L’espresso, 9 maggio 2013


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