Magazine Astronomia

Non solo a Sud

Creato il 13 ottobre 2011 da Stukhtra

Ora si può parlare di buco nell’ozono anche sull’Artide

di Mattia Luca Mazzucchelli

ResearchBlogging.org
Fino a poco tempo fa era una prerogativa dell’Antartide: per trovare un buco nell’ozono fatto bene bisognava trovarsi lì verso settembre-ottobre, durante la primavera australe. Ma ora le cose stanno cambiando, e in primavera (boreale) se n’è aperto uno anche sull’Artide. Almeno così sostiene uno studio pubblicato su “Nature” e basato su rilevazioni della NASA.

Non solo a Sud

Il buco sull'Artide a un'altitudine di circa 20 chilometri, nel marzo 2011. A destra è rappresentata la concentrazione del monossido di cloro, il killer dell'ozono. (Cortesia: NASA/JPL/Caltech)

L’ozono (O3) è una molecola formata da tre atomi di ossigeno e costituisce l’ozonosfera, un guscio che avvolge la Terra tra 15 e 40 chilometri di altitudine. Per i viventi più che un guscio è uno scudo, visto che con la sua presenza ripara la superficie terrestre dai raggi UV-C e in parte da quelli UV-B, che, se non schermati, si ritiene possano portare a tumori della pelle nell’uomo e a danni alle piante, ai sistemi acquatici e alle popolazioni batteriche.

Si sa che da una trentina di anni l’ozonosfera non se la passa proprio bene, e dal 1985 siamo a conoscenza dell’esistenza del famoso buco nell’ozono che ogni primavera si apre sull’Antartide. Con questo termine si intende che lì, terminato l’inverno, la concentrazione della molecola nella stratosfera (la parte dell’atmosfera dove si trova lo strato di ozono) si riduce notevolmente rispetto ai mesi prima dell’inverno. La quantità di ozono presente nella colonna d’aria al di sopra di un certo punto della superficie terrestre viene misurata in Unità Dobson (DU), e con meno di 220 DU si può parlare di buco. Ma perché questa condizione è stata raggiunta finora solo sull’Antartide? E’ presto detto: lì ci sono tutte le condizioni perché alcune sostanze introdotte nell’atmosfera dall’uomo diventino aggressive verso l’ozono e ne distruggano la molecola.

Fino al 1989, quando si è iniziato a limitarne la produzione, venivano ampiamente utilizzati i clorofluorocarburi (CFC) come fluidi refrigeranti per i frigoriferi e i condizionatori e come propellente per le bombolette spray. Questi gas contengono cloro (Cl), che, una volta raggiunta l’ozonosfera, strappa un atomo di ossigeno all’ozono, trasformandolo in una semplice molecola di ossigeno. Così dall’interazione di ogni singolo atomo di cloro e di una molecola di ozono si ottiene monossido di cloro (ClO) e ossigeno (O2). Una molecola di ozono è andata persa. Ma ora il monossido di cloro, colpito dalla radiazione ultravioletta, si rompe, lasciando di nuovo il cloro libero di andare a zonzo a rompere altre molecole. Per fortuna questo ciclo non continua all’infinito, perché in breve il cloro preferisce unirsi all’idrogeno, formando acido cloridrico (HCl), o all’azoto, formando nitrato di cloro (ClONO2). E il cloro così non dà più fastidio all’ozono.

Ma la stratosfera sopra l’Antartide durante l’inverno diventa un laboratorio chimico molto particolare. Anzitutto si forma il vortice polare, una zona di bassa pressione che fa da catino e isola la massa d’aria dalla circolazione globale. Poi le basse temperature, al di sotto dei -78 gradi, permettono la formazione di nuvole (dette Polar Stratospheric Clouds, o PSC) composte da aghi di acido solforico (H2SO4) e acido nitrico (HNO3) ghiacciati. Insomma l’idrogeno e l’azoto sono occupati a produrre le nuvole, e il cloro è di nuovo libero. Le nuvole si formano durante il lungo e buio inverno polare, ma resistono anche in primavera, quando le giornate si allungano sempre più. E’ sotto il Sole e gli UV della primavera che ogni singolo atomo di cloro ha la possibilità di dissociare un grandissimo numero di molecole di ozono. L’ozonosfera si buca. Poi, al termine della stagione, il vortice polare si apre e sopra l’Antartide si ha l’apporto di ozono proveniente dalle zone limitrofe. E l’ozonosfera viene rammendata.

Tutto ciò agli antipodi non era mai successo, almeno fino al marzo 2011. Il dato è stato trovato da studiosi europei, americani e giapponesi che hanno analizzato una serie di misure effettuate dai satelliti Aura e CALIPSO della NASA oltre che da palloni sonda. Secondo i ricercatori, durante la scorsa primavera sopra l’Artide è andata distrutta una quantità di ozono più o meno simile a quella dell’Antartide negli Anni Ottanta, quando il buco si stava aprendo. Tra 18 e 20 chilometri di altitudine si è perso fino all’80 per cento dell’ozono, e l’estensione areale del fenomeno è stata pari a circa cinque volte la superficie della Germania. Comunque, tranne un breve periodo, la quantità di ozono durante la primavera è rimasta sopra le 220 DU. Il buco vero e proprio si è avuto per un breve periodo. Sia la dimensione sia l’entità sono ancora lontane da quelle del fratello maggiore antartico. Eppure per la prima volta si sono potuti realmente confrontare i due fenomeni.

La dinamica del processo è la medesima in entrambi i casi. Per quanto negli inverni passati si sia raggiunta la temperatura necessaria per la formazione delle PSC anche al Polo Nord, solo nel 2011 il vortice polare artico è sopravvissuto fino alla fine di marzo. Per fortuna le sue dimensioni sono ancora solo del 40 per cento rispetto all’altro e la durata di alcuni giorni minore. Il pericolo è dato dalla sua mobilità, che lo porta a vagare sopra zone abitate del Nord, con possibili rischi per la salute della popolazione.

I ricercatori sostengono che senza il protocollo di Montreal del 1987, che ha limitato la produzione di numerose sostanze responsabili della degradazione dell’ozono, il buco si formerebbe già da molte primavere. Purtroppo queste sostanze sono dure a morire e fanno sentire ancora i loro effetti. Ora il cruccio degli studiosi è prevedere se e quando si aprirà ancora, e quanto c’entrino i recenti cambiamenti climatici con tutto ciò.


Mexico-sized ozone hole opens up in Arctic di euronews-en

Manney, G., Santee, M., Rex, M., Livesey, N., Pitts, M., Veefkind, P., Nash, E., Wohltmann, I., Lehmann, R., Froidevaux, L., Poole, L., Schoeberl, M., Haffner, D., Davies, J., Dorokhov, V., Gernandt, H., Johnson, B., Kivi, R., Kyrö, E., Larsen, N., Levelt, P., Makshtas, A., McElroy, C., Nakajima, H., Parrondo, M., Tarasick, D., von der Gathen, P., Walker, K., & Zinoviev, N. (2011). Unprecedented Arctic ozone loss in 2011 Nature DOI: 10.1038/nature10556


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