Non amo le commedie, e credo che ormai sia cosa nota per chi bazzica abitualmente per questa cameretta. Soprattutto non amo le commedie che cercano a tutti i costi di strapparti risate sguaiate. Preferisco di GRAN lunga quelle commedie che ti regalano sorrisi sinceri, a volte dolceamari, ma accompagnati da quel senso di tenerezza che ti regalano solo i bei film.
E Little miss sunshine è poco ma sicuro uno di quelli.
Olive ha sette anni ed è arrivata finalista al concorso di Piccola Miss California. Parte quindi a bordo di un furgoncino Volkswagen di quelli anni 60 con la mamma, il papà coach motivazionale di scarso successo, il fratello che si rifiuta di parlare da 9 mesi, il nonno eroinomane un po' fissato col sesso e lo zio gay appena sopravvissuto ad un tentato suicidio.
Già la presentazione vi fa sorridere, vero? Ma come convivono, simili esemplari umani? Litigando, discutendo, scendendo a compromessi ('Dwayne, se vieni ti prometto che ti faccio iscrivere all'Aeronautica!'), parlandosi sopra, facendo un gran casino. Ma quanto sono reali, nel loro essere volutamente esagerati.
La famiglia parte, e in 700 miglia accadono tutti i possibili disastri di un road trip. E il furgone che non parte, e il nonno in ospedale, e i ritardi, e la strada, tutte. Ma non sono tanto i problemi a suscitare il divertimento, quanto il modo della famiglia di reagire. Il cinismo del nonno, la pazienza della mamma, il silenzio tombale del fratello, tutte caratteristiche a cui nel corso della pellicola ci si affeziona.
E in tutto ciò la piccola Olive conserva la sua totale ingenuità, il suo amare tutti incondizionatamente alla stessa maniera, anche un padre del genere (dopo due minuti l'avrei preso a schiaffi) lei lo abbraccia. Rende il nonno scontroso con tutti dolce solo con lei, riporta con i piedi per terra il fratello in piena crisi isterica. E la piccola Abigail Breslin ha un'aria tenerissima con quegli occhialoni.
Tutto questo buonismo apparente in realtà però non c'è, perché insieme ai sorrisi, Little miss sunshine regala anche scene abbastanza drammatiche (rese comunque con quell'atmosfera leggera che contraddistingue il tutto) e tematiche di una certa rilevanza, dal suicidio, all'omosessualità, alla rivalità personale e lavorativa, quasi tutte incarnate in uno Steve Carell a cui non avrei dato un euro E INVECE, passando addirittura per la morte e per lo spettacolo impietoso dei concorsi di bellezza per bambine.
Si arriva ad un delirante finale, in una scena di gruppo memorabile, in pieno Sundance style, che ridà unità e divertimento ad una famiglia che ha passato un'oretta abbondante di film a litigare. E a quella che se vogliamo può essere anche la 'morale' del film.
La salvaguardia del diritto ad essere sfigati.