O, come lo conoscono tutti, ma proprio tutti e cercando di dimenticare lo schifosissimo titolo italiano, Vertigo, film americano firmato dal grandissimo e inglesissimo Alfred Hitchcock nel 1958.
Una pellicola cinematografica che non è una pellicola cinematografica ma la confessione metaforica delle ossessioni di un regista che, attraverso un noir di straordinario impatto visivo, spiega allo spettatore come lui deformi e formi la sua donna ideale a ogni nuovo progetto cinematografico.
Della serie, siccome quando si esprimono giudizi bisogna sapere di cosa si parla, lo stesso Hitchcock si prende le sue responsabilità (e bisogna avere coraggio per farlo a Hollywood) e spiega gradevolmente una delle sue manie sessuali preferite.
Ma non sono solo queste le ragioni per cui La donna che visse due volte è il CAPOLAVORO che è:
1. Musiche ipnotiche. Se vuoi una colonna sonora che ti faccia venire i brividi e che rimanga nella testa dello spettatore devi andare a bussare a casa di Bernard Herman. Ed è questo che il buon Hitch ha fatto, creando così una colonna sonora di ineguagliabile bellezza.
2. I titoli di testa. Splendidi e martellanti. Disegnati da Saul Bass ti mettono già dentro il brivido ancora prima che il film inizi.
3. James Stewart. James Stewart, in questo film, è più James Stewart che mai. Suo il ruolo del protagonista Scottie, ex poliziotto e poi investigatore privato che, dopo un brutto inseguimento notturno sui tetti, nel quale scivola sulle tegole e finisce aggrappato a una grondaia con il vuoto sotto i piedi, soffre di vertigini. A dare il colpo di grazia alla sua psiche, un suo collega che, tornato indietro per aiutarlo, si sporge e cade. Da quella notte, Scottie non sarà più lo stesso… Nessuno si caga addosso dalla paura come Jimmy Stewart in un film di Alfred Hitchcock!
4. Noir. La storia parte dal punto tre e da quella paura per le vertigini che sta lentamente distruggendo la vita di Scottie. Persino la sua Midge, una donna con cui lui vive, è incapace di aiutarlo. A quel punto, un amico gli viene in aiuto con la proposta di un lavoro semplice semplice: deve seguire sua moglie Madeleine che pare voglia tentare il suicidio. Durante tutto il pedinamento in una San Francisco che toglie il fiato, arriviamo a un punto in cui viene inserita la carta di un amore morboso, fra tormento ed estasi. Ci sarà un’amante perduta e, ovviamente, il tema dell’ossessione. Uno script che sovverte le regole del thriller (la soluzione si rivela a tre quarti della storia e permette allo spettatore di bloccare il transfert con Scottie e di osservare i suoi morbosi comportamenti con un occhio più obiettivo), rendendolo asfissiante. Non è del tutto merito del romanzo discretamente penoso D’entre les morts di Thomas Narcejac e Pierre Boileau, ma di una sceneggiatura assillante («Sei identica a Madeleine, ora. Sali quelle scale. Io ti seguirò») che rischiava di essere bloccata dalla censura perché l’assassino restava impunito (motivo che spinse il buon Hitch a girare una coda, mai utilizzata, in cui Midge ascolta alla radio l’avvenuto arresto del colpevole).
5. Kim Novak. La bionda di turno del film di Hitchcock è Kim Novak ovvero Madeleine. La Novak, dall’alto della sua esperienza, è convincente nel ruolo della moglie turbata dalla strana storia di un’antenata suicida… C’era il pericolo di vedere al suo posto un’altra attrice: Vera Miles. La Miles, che era stata segnalata come una nuova stella nascente hollywoodiana, era stata messa personalmente sotto contratto dal regista che l’aveva già utilizzata in Il ladro ma, la Miles aveva scelto la vita domestica a quella della star e si era sposata con Gordon Scott, famoso per aver interpretato il ruolo di Tarzan. A questo, si era aggiunta la gravidanza che la spinse a rinunciare al ruolo. Ma Hitchcock la scelse ancora, in Psyco, per il ruolo della sorella di Janet Leigh. Rimane il fatto che, bionda o bruna, Kim Novak è diventata il simbolo di questo titolo (io la preferisco alla Miles…).
6. Firmato Hitchcock. Inutile dire che la regia di Alfred Hitchcock è già una garanzia di capolavoro… ma è bene forse spiegare che la particolarità di La donna che visse due volte sta tutta nella sua visione. È un po’ come quando si guarda un episodio dei Simpsons e, man mano che si aumenta la propria cultura, si scoprono nuove citazioni, battute con altri significati etc. Vertigo funziona allo stesso modo. Il buon Alfred intossica audiovisivamente ogni inquadratura infarcendola di se stesso (e si ritorna alla sua tendenza, sua e di ogni altro regista, di plasmare le attrici secondo una donna sognata di assoluta bellezza), smistando il mazzo di carte scena dopo scena e confondendo e fondendo a ogni sequenza il tema della necrofilia e del doppio.
7. La scena della trasformazione. Judy deve trasformarsi in Madeleine. E lo fa in una camera d’albergo, immersa in una luce verde e irreale al neon. Lui l’aspetta febbricitane e con impazienza oltre la porta del bagno, dove lei è entrata. Quando si riapre, ne esce una donna che è trasformata in un’altra. Arriva il bacio. Ma non è un bacio qualsiasi. È un bacio che la macchina da presa riprende con un movimento circolare… solo che non è la macchina da presa a girare. No. Gli attori erano stati sistemati su una praticabile a rotelle che venne fatta ruotare davanti alla cinepresa.
8. La scenografia. Di altissima fattura, aggiungo fin da subito. Henry Bumstead e Hal Pereira hanno reso San Francisco inquietante e allo stesso tempo affascinante. Fu loro l’intuizione di trasformare la missione spagnola di San Juan Batista in una chiesa con un campanile (campanile che venne aggiunto in post-produzione) e sempre loro consigliarono al regista che, per visualizzare meglio il senso di vertigine che coglieva il protagonista mentre saliva le scale, sarebbe stato bene creare un modellino in dimensioni ridotte e, alla tromba delle scale montare una montare una cinepresa dotata di zoom su un carrello e di azionarli contemporaneamente in senso opposto (un trucchetto che studiato gomito a gomito con Hitchcock).
Fabio Secchi Frau