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NON SONO I BELLISSIMI DI RETE 4 – Metropolis

Creato il 04 novembre 2013 da Fabioeandrea

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Sono pochi i film della Storia del Cinema che possono vantare di aver influenzato tutta la sua Storia, nonché un genere cinematografico e la cultura di tutto il mondo. Uno di questi è il tedeschissimo Metropolis di Fritz Lang, anno 1926.

Metropolis è il grande Capolavoro di oggi.

Nessun film di fantascienza è riuscito a superarlo nella sua grandezza.

Non Blade Runner.

Non la saga di Star Wars.

Non Brazil di Terry Gilliam.

Nothing.

Eppure, sono anche questi dei Capolavori.

Anzi, come hanno dimostrato molti storici, tutti questi film hanno rubato qualcosa da lui…

NON SONO I BELLISSIMI DI RETE 4 – Metropolis

E, forse, ci si potrebbe limitare a questo per spiegare la magnificenza di un titolo come Metropolis che ha pienamente sviluppato e sfruttato tutto ciò che aveva all’interno di ogni singolo fotogramma.

NON SONO I BELLISSIMI DI RETE 4 – Metropolis

Un titolo come Metropolis che è stato funestato da vicissitudini produttive e distributive che potevano farlo diventare un film maledetto ma che, invece, ha prodotto una pellicola attraverso la quale è possibile studiare la storia del mondo intero.

Realizzato nel 1925 dalla casa di produzione tedesca Universum Film AG, meglio conosciuta come UFA, e prodotta da Erich Pommer con una larghezza di mezzi assolutamente incredibili per quegli anni, Metropolis è il primo irresistibile kolossal della storia del cinema.

Qualche numero?

19 mesi di riprese, quindi un anno e mezzo e-un-po’-di-più, per un totale di 310 giorni e 60 notti lavorativi.
360.000 comparse.
600.000 metri di pellicola impressionata.
50 milioni di marchi tedeschi che all’epoca provocarono la bancarotta dell’UFA e la sua acquisizione da parte dell’editore Alfred Hugenberg, membro del partito nazista, che la trasformò nella fabbrica del cinema in mano al Ministro della propaganda e, quindi, ad Adolf Hitler. Cosa che poi spingerà Fritz Lang a fare le valigie verso l’America senza un piano di fuga in testa e senza nemmeno avvisare la moglie, pur di non rientrare nei ranghi nazisti! Un rigurgito di lucidità che gli ha restituito la sua immagine di un buon regista anti-nazista in preda a una matta disperazione.

NON SONO I BELLISSIMI DI RETE 4 – Metropolis

Ma veniamo alla spiegazione di tanta potenza e sublimità:

1. L’ambiguità della sceneggiatura. Il più straordinario kolossal del muto è ambiguo… E non stiamo parlando di sessualità, ma di morale. Perché dietro a frasi come «Il cuore deve mediare tra il cervello e le mani», dietro la lotta operaia in rivolta contro la propria disumanizzazione a favore della vittoria della Macchina, dietro la loro morte e sconfitta (che qui ha il sapore di un assoggettamento) si nasconde una sola mente: quella di Thea von Harbou, la ciccionissima moglie di Fritz Lang, sceneggiatrice del film e fervente nazionalsocialista, le cui sfumature interpretative sono oggi, ahimé, molto attuali… Ispirata dal romanzo omonimo, ma anche da pellicole come R.U.R. di Karel Capek e da Aelita (1924) e dalla lettura delle opere di H.G. Welles (che, fra l’altro, odiava il cinema di Fritz Lang), la Harbou delinea la storia di una ribellione buia e crepuscolare contro la classe dirigente rappresentata dal magnate John Fredersen e ordita dallo scienziato negromante Rotwang. Da qui, in poi, con l’aiuto di un robot, si scatena l’inizio della fine di una civiltà modernissima, poi fortunatamente evitata grazie all’intervento di un’operaia che recitava ai suoi colleghi mantra di speranza e del figlio di Fredersen che giganteggia in nome dell’amore, senza però perdere il lume della ragione.

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2. Simbologie. Dietro la potenza delle immagini si nascondono lungo tutto il film simbologie arcane, occulte e massoniche, ma anche visioni del futuro. Il grande moloch che mangia gli operai, la torre più alta di Metropolis, persino il numero di candele usate sull’altare… tutto questo nasconde un altro significato. Altro che Il Codice da Vinci!

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3. Fritz Lang. È un film di Fritz Lang e, quindi, è un film con una regia di totale e gigantesca genialità che ancora oggi è capace di far rimanere lo spettatore senza parole a causa di soluzioni di ripresa superlative.

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4. Il robot. Il simbolo del film. Il volto del seducente automa femmina (il più seducente della storia del mondo),creato per assumere l’identità della dolce e speranzosa operaia Maria in modo da fomentare le masse di lavoratori schiavizzati verso la rivolta, ma che poi offre alla classe dominante il mezzo per reprimerli una volta per tutte. La Robotrix di Rotwang, sotto la quale si nascondeva la bellissima Brigitte Helm, è l’immota maschera funerea che viene da questo possibile e lontanissimo futuro. Remota, siderea e affascinante, oggi, seduce i più grandi registi del mondo. Un esempio? Dalle sue fattezze sono dipese quelle di C-3PO di Guerre Stellari di George Lucas, una versione poraccia della Robotrix. Purtroppo, l’originale costume andò distrutto sotto i bombardamenti del 44-45 a Berlino. Da allora, sono sparse un po’ ovunque per il mondo le sue copie.

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5. Megalopoli. Altro colpo al cuore è Metropolis. Così si chiama la megalopoli visionaria e modernissima in cui è ambientata la storia e che squarcia il cielo azzurro con i suoi immensi grattacieli dividendo la società in due classi: i ricchi che godono un’esistenza spensierata e felice immersi nel lusso dei loro palazzoni e i poverini che vivono confinati nelle catacombe sotterranee, all’ombra di questi mostruosi edifici che dominano la loro esistenza quotidiana, lavorando come formiche. La scenografia è tutto in Metropolis. E, infatti, fu titanico il lavoro svolto da Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht e Edgar G. Ulmer per costruirla secondo i desideri di Fritz Lang, che volle riprodurre la visione della New York in skyline notturna che lo aveva incantato quando, dal transatlantico che lo aveva portato negli Stati Uniti per la prima americana di I Nibelunghi, vide per la prima volta la Grande Mela.

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6. Effetti speciali. Un solo nome Eugen Schüfftan. Direttore dalla fotografia tedesco, ma di origine polacca, che legò il suo nome al famoso effetto Schüfftan, vale a dire la tecnica utilizzata per inserire gli attori all’interno di set in miniatura, utilizzata per la prima volta proprio nel film Metropolis.

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Fabio Secchi Frau


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