Padre Delmo accolse con non poca ritrosia l’invito a partecipare ad una serie di corsi di comunicazione consapevole; sapeva comunicare ed era anche decisamente consapevole, non fosse altro che era monaco da 60 anni! Le incombenze erano parecchie: avrebbe dovuto trovare una sala per ospitare chi avrebbe tenuto il corso, avrebbe dovuto accendere il riscaldamento ( cosa non da tutti i giorni e solo per le grandi occasioni), avrebbe dovuto stravolgere gli orari dell’abbazia. Ma soprattutto avrebbe dovuto avvertire i monaci e obbligarli a parteciparvi.
Sì, obbligarli. L’invito non era mica stato un semplice invito con la classica caratteristica di scegliere se aderirvi o no; era stato un invito forzato.”Devi parteciparvi” punto. Nessuna scappatoia.
Padre Delmo non aveva capito bene il perché di questa necessità; come detto sapeva di saper comunicare e poi in abbazia, a dire il vero, neppure gli serviva comunicare: bastava fare il proprio dovere, evitare i corridoi nelle ore di punta e per il resto, era il silenzio il suo unico compagno. E lo amava più di ogni altra cosa, ogni altro bene, ogni desiderio materiale e divino.
Prese coraggio e si diede da fare, non poteva certo deludere chi, dall’alto del suo potere, lo aveva stretto in un obbligo così forzato. Decise per l’ora della cena e prima che i monaci si congedassero, distribuì loro un foglietto con gli orari del corso e il semplice scritto “Corso di comunicazione consapevole. Domenica 2 ottobre, ore 21, sala capitolare”
Ecco, anche quel consapevole gli suonava così strano e insolito. Come se per comunicare occorresse avere coscienza di sé e dell’altro e non bastasse la fede in Dio.
Vi fu un brusio sommesso che ruppe la pace dell’abbazia, quando i monaci ricevettero il foglietto poggiato sui loro piatti; non rabbia, noia e disgusto come aveva pensato Padre Delmo, ma entusiasmo. Si udirono gridolini di gioia e scambi di occhiate; i monaci rigiravano il foglietto nel vano tentativo di trovare informazioni più precise e, non trovandone, si gettarono su Padre Delmo. Ma lui non si scompose, restituì, con un gesto di mano alzata, il silenzio all’abbazia e se ne andò nella sua cella.
Il giorno del corso, l’attenzione fu grande e i monaci si presentarono in anticipo. Ad accoglierli, oltre Padre Delmo, trovarono un signore di mezza età, dall’aria tranquilla e serena. Fu breve nelle presentazioni, e dedicò il tempo a raccontare ciò che avrebbe loro insegnato. E parlò loro di relazioni, di rabbia, di calma, di dialogo, di canali comunicativi. Di incontri, di scontri, dell’ascolto e del silenzio.
Ettore, così si chiamava l’uomo basso e affabile, aveva accettato con piacere l’incarico di presentarsi all’abbazia. Era certo che avrebbe trovato quella pace che all’apparenza aveva ma gli mancava nel profondo, nelle radici del suo cuore. Era certo che sarebbe stata poca cosa quella che avrebbe insegnato ai monaci e che molto, invece, sarebbe stato quello che loro avrebbero donato a lui, in serenità, consapevolezza, spirito di comunione.
Decise di cominciare con un esperimento. Lo faceva spesso e ne traeva semplici conclusioni che tutti comprendevano e condividevano. L’esercizio consisteva nel dare ad un volontario un disegno con sei figure geometriche che solo lui poteva vedere. Il volontario doveva, a parole, spiegare le figure e le loro posizioni e gli altri partecipanti dovevano disegnare le figure così come comprese.
Il monaco volontario lo fece Padre Delmo; iniziò la sua spiegazione, i monaci disegnavano. Era bello vederli fare, parevano amanuensi al lavoro.
Quando Padre Delmo ebbe finito e toccò confrontare il disegno originale da quelli disegnati, ecco che avvenne l’inenarrabile, ciò che mai Ettore si sarebbe aspettato. Nessun disegno combaciava, nessuno era stato in grado di comprendere le spiegazioni. Una vera disfatta. Undici minuti di spiegazione falliti.
Ma il più bello e inaspettato fu l’alterco che nacque tra Padre Delmo e un monaco. Il monaco non riusciva ad arrendersi di aver sbagliato e si rivolse a Padre Delmo ” Non ti stai spiegando bene! “
E Padre Delmo, rosso in viso “Sei tu che non ascolti!”
Ciò che avvenne dopo non si può raccontare e Ettore, quando qualcuno gli chiede di ricordare cosa successe, risponde che proprio in quel momento ebbe un’urgenza al bagno.
Urla, fogli volati, mani alzate in gesta di schiaffi, parole forti, piedi che pestavano e anche una sedia rovesciata. E ancora quelle grida
” Non ti stai spiegando bene!” “Sei tu che non ascolti!”
Nessuno ebbe a che ridire se il corso venne interrotto per cause improrogabili.
Ettore decise che la sua calma era abbastanza sufficiente per sopravvivere e quando voleva il silenzio, apriva un libro seduto sul suo divano e cominciava a leggere. Nessuna storia sui monaci, mi raccomando!
Chiara