La società moderna di fronte alla morte applica una specie di odioso classismo. Muore un personaggio famoso? Subito si scatena frenetica la corsa di tanti soprattutto sui social network a ricordarlo e a salutarlo e questo può andare bene (talvolta lo faccio anch'io). In fondo sono attestati di partecipazione e simpatia.
Se invece a morire è una persona comune tutto questo non avviene. Sì, se ne parla ma la partecipazione è diversa. Credo che una delle cause di questa simpatia a "corrente alternata" sia da ricercarsi nella superficialità e nella quasi totale mancanza di rispetto che i nostri tempi riservano alla morte. I media hanno la loro parte, grande, di responsabilità. Per aumentare l'audience e vendere un maggior numero di copie di una testata giornalistica gli scrupoli si mettono da parte. La morte viene spettacolarizzata fino alla noia (o alla nausea?). E' definitivamente tramontato il senso del sacro che accompagnava la dipartita di un individuo: l'unica regola da seguire è dettata dalle esigenze della tv-spettacolo. Le dirette sulla tv e su internet dei funerali dei personaggi famosi invadono il nostro tempo libero e inquinano il nostro spazio mentale. Come scrive il mio amico Roberto Alfatti Appetiti "Spegnere il televisore non basta. Il telecomando, ormai, è un'arma spuntata.". Ci hanno insegnato fin da bambini che la morte è un fenomeno normale nella vita biologica di ognuno ed è vero. Però è altrettanto vero che la morte di qualcuno è un evento traumatico soltanto per la sua famiglia e per i suoi cari. Gli altri al massimo possono partecipare al dolore altrui in minore o maggiore misura (nel web secondo me quasi sempre minore, in quanto la partecipazione spesso è indotta per emulazione). E siccome anche di fronte alla morte non vedo parità di trattamento, il mio personale pensiero, purtroppo inutile ad alleviare il dolore della famiglia, non può che andare a Sandro Usai, il volontario ucciso da un mare di fango e acqua, mentre portava soccorso, lui sardo, ai suoi nuovi conterranei liguri. E poi dicono che gli eroi non esistono più.
Giovanni Fonghini
Magazine Società
Potrebbero interessarti anche :