Chi non conosce la storia di Cenerentola, la bella fanciulla maltrattata dalla matrigna e dalle sorellastre, che grazie alla fata turchina riesce a partecipare ad un ballo di corte, dove perde la famosa scarpetta?
Quella fiaba non è di Walt Disney, come alcuni pensano, o di Charles Perrault, ma, come ha fatto notare anche “Storiedinapoli“, è di Giambattista Basile, letterato e scrittore napoletano, vissuto in epoca barocca, primo in assoluto ad utilizzare la fiaba come forma di espressione popolare.
Essa è inclusa nella celebre raccolta “Lo cunto de li cunti, ovvero lo trattenemiento de li peccerille“, una raccolta di cinquanta fiabe, tradotte poi dal filosofo Benedetto Croce.
La storia parla di una fanciulla dal nome Zezolla, figlia di un principe, che aveva una matrigna cattiva e sei sorellastre, relegata a fare la sguattera in cucina e chiamata Gatta Cenerentola, salvata poi da una fata alla quale lei stessa aveva chiesto delle grazie. Il racconto è stato interpretato anche nell’Opera teatrale di Roberto de Simone, “La Gatta Cenerentola“.
Le fiabe del Basile, sebbene dal titolo lascino intendere siano rivolte a dei bambini, risultano molto crude e decisamente poco adatte all’infanzia. Cenerentola infatti si macchia dell’omicidio della matrigna.
Ma questa non è l’unica fiaba ad essere stata “copiata” da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, tra le tante scritte del letterato napoletano riadattate da Perrault e dai Fratelli Grimm, ci sono anche “Sole, Luna e Talia”, ovvero La Bella Addormentata, che non viene baciata dal principe, ma abusata dallo stesso, “Petrosinella”, Raperonzolo e “Cagliuso”, ovvero Il Gatto Con Gli Stivali.
La domanda che ci si pone in questi casi è perché la nostra letteratura, riadattata più volte da altri, sembra non avere alcuna rilevanza su un panorama nazionale? Neppure i partenopei sono a conoscenza del fatto che molte delle fiabe utilizzate nei cartoni animati per i bambini sono nostre, sono napoletane.