Ho appreso con grande turbamento, come molti, la notizia: dal TG, a ora di pranzo. http://www.thenewsreader.it/ la sintetizza così:
Un 73enne e il suo nipotino di 5 anni sono stati trovati morti nelle acque dell’Adigetto a Lendinara, in provincia di Rovigo. I due corpi, abbracciati, sono stati notati da un poliziotto, lo zio del bambino, che stava facendo jogging. Per i carabinieri si tratta di un caso di omicidio suicidio: il bambino soffriva di una rara malattia genetica che avrebbe indotto l’anziano a ucciderlo annegandosi insieme a lui. Il bambino era stato affidato al nonno mentre i genitori erano ad un convegno proprio sulla malattia del piccolo e lo zio, il poliziotto che ha trovato i corpi, stava andando, facendo jogging, a prendere il piccolo per dare il cambio all’anziano.
E http://www.rovigooggi.it/ ci informa che il piccolo Davide soffriva della sindrome di Angelmann: indubbiamente grave, drammatica per i familiari. Qui una descrizione accurata http://www.orpha.net/, di cui copio la conclusione :”L’attesa di vita sembra essere normale, ma non può mai essere raggiunta l’autonomia.” Finora, sembra però che il futuro riservi buone sosrprese.
Esistono già delle cure in grado di migliorare la qualità della vita , ed è recentissima la scoperta di una nuova possibilità (http://www.bergamonews.it) . Riporto la parte saliente dell’articolo: Le ricerche in atto sono due: lo studioso olandese Elgersma sta cercando di dimostrare la reversibilità della malattia nelle varie fasi di età riattivando il gene UBE3A; lo studioso americano Philpot sta testando quale farmaco può risultare idoneo per riattivare e produrre l’UBE3A. «È stato fatto un grandissimo passo avanti, dobbiamo avere tantissima speranza» – ha detto il dottor Ype Elgersma dell’Erasmus MC University Hospital GE Rotterdam dinanzi a una platea attentissima -. Quest’anno è stata fatta la più importante scoperta degli ultimi anni: siamo stati in grado di realizzare in laboratorio un topino con la sindrome di Angelman. Ora stiamo affrontando la seconda parte della sperimentazione: cercare di far tornare il topino sano riportando in funzione il gene». La ricerca condotta da Philpot ha mostrato che è possibile utilizzare un farmaco per accendere il gene UBE3A paterno per lungo periodo (quindi dovrebbero bastare bassi quantitativi di farmaco per curare la malattia): «È una scoperta entusiasmante…
E dunque, oltre allo sgomento e alla pietà per il gesto (tuttora presunto) di questo nonno, sul quale è opportuno attendere le conclusioni degli investigatori, vorrei esprimere il mio (provvisorio) parere su quella che, ipotizza Rovigo .it sarebbe “ Una forma di disperato amore (…), assieme al dolore provocato dalle condizioni del bimbo”. Lascio da parte le considerazioni religiose (non sono credente) ed evito di impegolarmi in quelle filosofiche (il giudizio etico riuscirebbe comunque negativo).
Consideriamo il presunto omicida-suicida rispetto al suo ruolo di nonno. Ritengo quel “disperato amore” una forma di violenza, un decisionismo malinteso, drammaticamente spinto fino al sacrificio di sè. L’infelice nonno, che certo avrebbe avuto bisogno di assistenza e supporto psicologico, si è arrogato il diritto di decidere sulla vita di Davide, lo ha “sottratto” per sempre ai suoi genitori (i quali si stavano appunto occupando della malattia), ha stabilito di suo che l’esistenza del bambino non meritasse di proseguire perché non sarebbe mai migliorata. Un nonno tragicamente “sbagliato”, mi spiace.
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