Magazine Cultura
di Pierluigi Montalbano
Vista l’impossibilità di accedere all’area interessata alla ricerca poiché si tratta di una zona privata attualmente adibita a peschiera, per affrontare una lucida analisi di ciò che appare come un grande villaggio costiero nuragico, poco meno di 10 ettari, sconosciuto agli archeologi, nel lungomare di Nora, nella Sardegna sud-Occidentale, occorre introdurre l’argomento avvalendosi degli studi portati avanti da Marco Rendeli nella costa algherese, per la precisione a Sant’Imbenia, un sito che presenta notevoli somiglianze con ciò che appare dai primi rilievi effettuati da Angelo Murru, autore della scoperta a Nora. Le riflessioni di Rendeli affrontano un tema non nuovo nel panorama della ricerca archeologica in Sardegna, quello della trasformazione avvenuta nella società isolana tra Bronzo finale e Ferro e delle sue conseguenze. Le ultime stagioni di scavi del villaggio nuragico di Sant’Imbenia, da parte di Marco Rendeli e del suo staff, hanno prodotto una serie di dati importanti che influenzano la lettura e l’interpretazione dei dati di Nora e altri villaggi simili conosciuti in Sardegna, ad esempio Barumini, Serra Orrios, Palmavera e altre realtà nuragiche floride nei secoli immediatamente successivi al X a.C., il periodo caratterizzato dalla miniaturizzazione (bronzetti, navicelle e piccoli nuraghi al centro delle cosiddette capanne delle riunioni) e dall’avvio del nuovo sistema di urbanizzazione dei centri nevralgici dell’economia isolana, fino almeno al VI a.C.
La messa in luce dello spazio collettivo centrale scavato a Sant’Imbenia, calamita attorno a sé una serie di ambienti chiusi e spazi aperti, e appare agli occhi di Rendeli la punta di un iceberg sotto la quale sono da leggere una serie di eventi che potrebbero aver modificato in maniera sostanziale l’organizzazione, i modelli di produzione e, in generale, la società della Sardegna nuragica. Il dato archeologico principale è l’intervento urbanistico che si compie nel villaggio: coinvolge una serie di antiche abitazioni che vengono abbattute, pesantemente modificate o entrano a far parte di strutture edilizie complesse a più vani. In questa fase si passa dalla presenza di un’edilizia di tipo circolare, generalmente monovano, a una complessa nella quale vi sono soluzioni differenti. Alcune parti di antiche abitazioni vengono rimodulate, c’è attenzione alla definizione degli stipiti degli ingressi, si realizzano progetti all’interno dei quali si prevede un’alternanza di vani chiusi e di ambienti aperti. La ragione per quale si modificano in maniera sostanziale gli ambienti, a prescindere da un evento traumatico che si può escludere a priori (incendio, crollo parziale), potrebbe essere stata dettata da ragioni differenti: non appare casuale la comparsa di una capanna particolare (un ripostiglio contenente un tesoretto di panelle di rame e di oggetti in bronzo) con apertura che a oggi rappresenta l’unico accesso diretto, in entrata e in uscita, dello spazio aperto collettivo. Dunque, pur se limitrofa alla piazza, la cosiddetta capanna dei ripostigli acquisisce una ragione d’essere che la rende struttura viva all’interno del nuovo piano urbanistico. Dalla pianta si può comprendere bene come tutto il progetto abbia come punto centrale lo spazio aperto e come il villaggio sia stato pesantemente modificato rispetto alle fasi precedenti. Quel che appare assodato è che l’insediamento copre un’area più ampia rispetto a quella determinata dal raggio definito dalla prima stagione delle ricerche: se il canale intorno all’abitato, scavato per bonificare il terreno sul quale costruire l’insediamento, definisce un limite fisico, la dimensione si aggirerebbe attorno ai 3 ettari.
Il programma urbanistico interessa il settore più vicino al nuraghe nella sua parte rivolta al territorio piuttosto che verso il mare. Si possono trarre una serie di riflessioni su questa trasformazione. La prima riguarda proprio l’aspetto urbanistico del programma: la creazione di quel che appare uno spazio aperto collettivo destinato allo scambio locale e con mercanti approdati nel golfo. Ciò implica un processo di alienazione di spazi precedentemente considerare privati a favore della creazione di un’area collettiva. Questo dato inserisce, all’interno di un villaggio fatto di capanne a più vani, un’area aperta con chiare connotazioni pubbliche, destinata dalla collettività alle attività di scambio e commercio. La seconda implicazione riguarda la realtà economica e sociale del villaggio e del territorio: si può ipotizzare che una presenza continuata di mercanti possa essere stata il detonatore di profondi cambiamenti nella maniera di concepire la produzione all’interno di un’area vasta.
Esso offre risorse che possono essere utili per queste forme di scambio e che rendono appetibile una sosta. La Sardegna era nota da tempo ai mercanti navali, soprattutto per le sue capacità minerarie. I mutamenti occorsi possono essere visibili in almeno due sfere di azione: quello del materiale metallico semilavorato e lavorato, quello della produzione vinicola. Da questo punto di vista si può proporre, nel quadro di relazioni che si sviluppano con altri settori del Mediterraneo, il recupero di documenti rappresentativi di quella sfera del dono che si accompagnava alla transazione commerciale: i bronzetti e gli altri oggetti di pregio rinvenuti nei villaggi. Questi potrebbero essere la testimonianza che i protagonisti dei rapporti con i mercanti provengono dai centri produttivi del territorio, nei quali si attua una forma di redistribuzione degli oggetti scambiati. Anche in altri settori della produzione si notano forme di trasformazione che coinvolgono il centro e il territorio: la produzione vinicola e l’artigianato ceramico a essa connesso. Fortemente interfacciate fra loro, queste due attività offrono un quadro di novità importante: a partire dalla seconda metà del IX a.C. l’attestazione di contenitori da trasporto, riconosciuti con la denominazione di “anfore di Sant’Imbenia”, si riscontri in diverse aree del Mediterraneo centro occidentale. Queste anfore si accompagnano spesso con un contenitore di medio-piccole dimensioni, le brocche askoidi, la cui irradiazione nel Mediterraneo appare al momento anche più ampia. Si può affermare che le due forme possano essere considerate complementari a formare un set del bere di matrice isolana. Brocche askoidi e anfore d’ispirazione levantina sono la spia evidente del mutamento dei tempi soprattutto per quel che riguarda le compagini locali: esse infatti segnano il passaggio a un modo di produzione che, dalla sussistenza, prevede la realizzazione di surplus che serve a soddisfare la domanda dei mercanti. Ciò presuppone anche una specializzazione nella produzione di contenitori ceramici per rispondere a una domanda che impone la creazione di contenitori legati alle eccedenze per soddisfare lo scambio. Il vino sardo, e nel particolare caso di Sant’Imbenia, quello della Nurra meridionale, si attesta nella Spagna meridionale, a Cartagine, in Etruria settentrionale. L’area algherese, con tutte le componenti “politiche” che hanno intrapreso questo percorso di trasformazione, entra appieno in una serie di circuiti commerciali che prendono forma. La componente locale risponde con trasformazioni importanti nei suoi assetti organizzativi, economici e sociali interni a quella società o a quelle comunità, e che coincide con quei fenomeni già descritti da Lilliu come propri dell’aristocrazia e che sottintendevano una complessità organizzativa e sociale. Oggi possiamo aggiungere nuovi tasselli alle realtà isolane: essi rappresentano parti di società complesse, ben strutturate e forti, con un patrimonio simbolico del passato che si riverbera nel presente. Le società della Sardegna, a partire dal Ferro, esprimono una spinta propulsiva al cambiamento e alla trasformazione iniziando una stagione di coscienza delle proprie capacità e della propria forza, del controllo dei mezzi e dei prodotti, della propria capacità di concepire forme di organizzazione più complesse e articolate rispetto al passato.
La questione Nora offre notevoli spunti di riflessione. Gli archeologi che si sono succeduti nelle numerose campagne di scavo, hanno consentito una parziale ricostruzione della storia del sito, ma non hanno ancora messo in luce nella zona un villaggio capace di contenere l’alto numero di abitanti presenti nella zona. Un dato demografico testimoniato dalla notevole e continuativa presenza di manufatti nel corso dei secoli.
Il professor Tronchetti, nella sua Guida di Nora, scrive che sino al 1952 Nora rimase sepolta. Di essa erano visibili solo pochi ruderi monumentali che erano già stati notati 400 anni fa dal Fara, il quale identificò quei resti con l’antica Nora. In seguito abbiamo notizie da viaggiatori dell’800, ad esempio Francesco d’Austria-Este che descrive i resti dell’acquedotto, del teatro, di cui contava nove o dieci filari di gradini, e di ruderi di un edificio termale, che possiamo identificare nelle Terme a mare. Il Barone di Maltzan parla del teatro e di una iscrizione del periodo di Teodosio e Valentiniano che ricorda lavori di restauro all’acquedotto, trovata riadoperata come gradino della chiesetta di S. Efisio, primo segno della spoliazione cui le strutture della città, ormai abbandonate, furono fatte oggetto sino da tempi antichi. Il La Marmora è il primo a fornire notizie concrete, fra cui la prima planimetria del teatro, mentre lo Spano effettuò alcuni saggi di scavo limitati. I primi interventi su larga scala avvennero nel 1889. A seguito di una forte mareggiata che scoprì una parte del tophet , il Vivanet effettuò l’indagine che restituì una serie di urne e stele, in parte trasportate al Museo Archeologico di Cagliari. Una parte delle stele fu invece sepolta nuovamente e fu adoperata abusivamente come materiale da costruzione. I restauri della chiesa di S. Efisio condotti dall’ing. G. Tola hanno permesso di recuperare alcune stele trovate impiegate nella costruzione degli edifici adiacenti la chiesa. Negli anni 1891 e 1892 il Nissardi esplorò accuratamente le necropoli ipogeiche puniche; le tombe a camera restituirono corredi di notevole importanza, conservati nel Museo cagliaritano. Nel 1990, dopo una serie di limitati sondaggi , ha avuto inizio la nuova stagione degli scavi di Nora in un settore della città non toccato da interventi precedenti, individuandolo nell’area compresa tra le Piccole Terme e la recinzione della Marina Militare; l’intervento si è poi allargato al teatro, al Foro, alle pendici del Coltellazzo, con risultati insperati.
Altri limitati saggi di scavo interessarono ambienti di età imperiale e la zona del “tempio di Tanit”, ritrovando sovrastanti pavimenti di epoca repubblicana romana. Nel 1952 la rappresentazione di un dramma dello scrittore Marcello Serra nei ruderi del teatro di Nora, eseguita a cura dell’ESIT, portò a effettuare uno sterro per la posa del palcoscenico, che mise in luce strutture antiche. La scoperta provocò la decisione dell’allora Soprintendente Gennaro Pesce, di iniziare un lavoro sistematico. Ciò avvenne con finanziamenti regionali per un cantiere scuola dove operarono talvolta sino a cinquanta sterratori, guidati da assistenti di scavo e volontari. Lo scavo si protrasse sino al 1960 scoprendo più di tre ettari di rovine. Un’edizione scientifica di questi scavi, dei materiali ritrovati, delle strutture edilizie, delle varie situazioni topografiche e cronologiche della città non è mai stata purtroppo fatta, così che ci mancano tutti i dati stratigrafici dell’area urbana e le conseguenti relazioni fra materiali mobili e strutture. Dal 1960 in poi Nora è stata interessata solo da alcuni saggi alle fortificazioni puniche dell’acropoli, posta sulla Punta di Coltellazzo, da parte di Ferruccio Barreca. Nel 1977 e nel 1982 si sono scavate alcune tombe romane venute fortuitamente alla luce sull’istmo, e, sempre nel 1977, Tronchetti ha proceduto allo scavo integrale delle Terme a mare, effettuando, in seguito, limitate verifiche in alcuni settori della città. Rimane ancora da indagare una parte del centro urbano, sulle pendici orientali del colle del “tempio di Tanit” e più oltre nella zona recintata dalla Marina Militare.
Oggi, con questa scoperta, sarà forse possibile indirizzare una campagna di scavo adeguata all’importanza che il sito riveste nel panorama sardo. Personalmente invito la soprintendenza a prendere atto della segnalazione di Angelo Murru e provvedere ai relativi controlli.
Nelle immagini potrete comparare alcuni villaggi conosciuti con le foto del sito in questione.
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