La copertina della prima edizione
Ad uno sguardo superficiale Nordest potrebbe sembrare un noir come tanti altri, ma mai come in questo caso l’apparenza trarrebbe in inganno. Certo ne ha tutti i connotati e gli elementi, eppure definirlo semplicemente un giallo o un noir appare estremamente riduttivo, perché Nordest non è questo; o meglio non è solo questo. Infatti, l’intenzione degli autori –più che dare facili risposte – sembra essere quella di porre domande, far riflettere il lettore sullo spaccato di vita narrato, coinvolgerlo quindi in quel mondo che a ben vedere è anche il suo, piuttosto che farlo evadere da esso. Sono due le storie narrate in questo romanzo, una evidente e l’altra che rimane sullo sfondo, ma che in realtà appaiono strettamente legate, tanto che la prima potrebbe sembrare come una diretta conseguenza della seconda. È la storia meno evidente la vera ossatura di tutto il romanzo, che fotografa e racconta quella che un tempo veniva chiamata, con una punta di orgoglio, la “locomotiva economica d’Italia”, e che oggi invece assiste impotente al proprio declino economico e sociale. Oggi all’orizzonte si stagliano le fabbriche che chiudono per spostarsi in Europa dell’Est, i disastri ambientali, il saccheggio indiscriminato del territorio, l’illegalità talmente diffusa e capillare da essere eletta a norma di comportamento (su tutto gli accordi con la camorra per seppellire i rifiuti industriali nei terreni agricoli del casertano pur di risparmiare denaro rispetto alla procedura legale). Il microcosmo del Triveneto italiano si sente minacciato dal mondo esterno, dopo aver vissuto negli agi per almeno un ventennio:
Piccoli imprenditori divenuti arroganti con le palate di soldi fatti negli anni ’80 e ’90 e che ora se la facevano sotto all’idea di essere spazzati via dai cinesi. Sempre ‘sti cazzo di cinesi. Prima erano comunisti, ora capitalisti e intanto le fabbriche licenziavano, chiudevano, si trasferivano. Artigiani, commercianti, ristoratori con le tasche sempre meno piene. Tutta gente che non aveva riflettuto sulla sua fortuna, che si era sentita invincibile e che adesso era impaurita. E incazzata. Ancor più incazzata perché non potevano nemmeno prendersela col solito governo ladro, visto che al governo c’erano quelli come loro (pag. 63).
Da questo universo prende avvio la seconda storia, l’omicidio di una giovane donna ormai prossima alle nozze, con il fidanzato – Francesco, voce narrante all’interno del romanzo – che non si arrende davanti al muro di gomma incontrato durante le indagini ma che, al contrario, ne avvia una personale pur di arrivare alla verità. Ed è proprio durante la sua ricerca dell’assassino che il giovane protagonista affronta tutti i temi sollevati nel libro: il rapporto tra i padri e i figli – con i secondi che non vogliono seguire più le orme dei primi alla guida della fabbrica, del locale o dello studio professionale avviato per imboccare invece una strada diversa – , la decadenza morale del paese (di cui non si saprà mai il nome, come a volerlo elevare ad inquietante fotografia dell’intero territorio), ben nascosta dietro una facciata di ipocrita perbenismo, e l’omertà – tanto criticato vizio attribuito spesso ai soli meridionali – che qui ha messo salde radici. Capitolo dopo capitolo viene fuori l’intero mosaico di una società ostaggio del ricordo di se stessa, con l’implosione che arriva nelle ultime pagine del libro, in cui Francesco scopre l’assassino e, finalmente, prende coscienza che il mondo in cui è nato, cresciuto e maturato in realtà non ha fatto altro che ingannarlo, nascondendo dietro i cancelli delle sue ville il suo più autentico e terrificante aspetto.