COSMOGONIA
Nel deserto di Atacama non c’è nulla, apparentemente. La zona più secca della Terra è una distesa infinita come l’universo, un tappeto smisurato di sabbia e pietre. Eppure, nella sua vastità, si possono rintracciare dei manufatti umani che coesistono nello stesso luogo e, ci si deve credere, nello stesso tempo. Da una parte abbiamo delle incisioni sulla roccia che risalgono all’epoca pre-colombiana, dall’altra un gigantesco telescopio costruito per scrutare la volta celeste, perché se il deserto non ha niente, almeno un cielo ce l’ha, e, ironia della sorte, è il cielo più meravigliosamente bello che si possa immaginare, il posto giusto per cercare l’arché di tutti gli arché, quello che sta all’origine di qualunque cosa, di noi, del mondo e di ciò che ci sta sopra. Patricio Guzmán usa i canoni del documentario per esplorare un paradosso: la coevità del passato e del presente, o meglio, la presa coscienza dell’inesistenza del presente, se non quello soggettivo, dato che tutto quello che vediamo è illusione ottica, è vecchia luce, è passato, e gli astronomi sono come geologi che invece di puntare lo sguardo verso il basso, alzano la testa verso le stelle.
UOMOAGONIA
Il taglio poetico corroborato da magnifiche fotografie spaziali viene innervato dal regista con sapiente coincidenza da un argomento a lui caro come – penso – a tutti i cileni: la dittatura di Pinochet. Succede infatti che nel deserto di Atacama le donne cercano tuttora i resti dei propri cari che vennero seppelliti lì dalle truppe militari; il loro rovistare fra polvere e rocce usando soltanto una paletta le parifica agli scienziati che osservano gli astri con i telescopi: entrambi i gruppi hanno lo stesso obiettivo, quello di trovare la propria stella, e se talune se ne stanno nella galassia mentre le altre sottoterra, ciò che le unisce, oltre alla consistenza chimica (il calcio), è la luce che si riflette negli occhi di queste eroine tenaci, così come il ricordo che si concretizza nella voglia assoluta di attualizzare il passato nel presente, perché chi non ha memoria non vive. Da nessuna parte.