Leggendolo mi sono chiesto cosa possiamo e dobbiamo fare noi precari, soprattutto noi precari della scuola, dopo che la nostra situazione è stata ampiamente denunciata. Siamo saliti sui tetti. Ci siamo incatenati. Abbiamo fatto i sit-in. Abbiamo scioperato. Siamo scesi in piazza. Abbiamo urlato. Abbiamo cantato. Ci siamo arrabbiati. Abbiamo occupato gli istituti. Cosa possiamo fare ancora contro il cinismo di chi amministra la scuola e contro l’indifferenza di chi dovrebbe raccontare le nostre storie e non lo fa, come denuncia la Busi? Come possiamo reagire alla marginalizzazione cui ci condannano i primi e all’oblio in cui ci confinano i secondi?
A volte mi viene da pensare che ci restano solo due strade, una peggiore dell’altra: la lotta armata (leggi: la rivoluzione) o la fuga all’estero (leggi: l’emigrazione). Siamo in pieno clima di festeggiamenti per i 150 anni dall’Unità d’Italia, ma per molti italiani, soprattutto per noi meridionali, che il prossimo 17 marzo dovremmo indossare i colori del lutto e non quelli della festa se solo conoscessimo un po’ di più la nostra storia, la situazione non è cambiata di molto rispetto a quella che era un secolo e mezzo fa.
I nostri avi furono costretti ad imbracciare le armi per difendere la loro terra e la loro dignità. Poi quando ci si rese conto che era tutto inutile perchè “loro”, i fratelli d’Italia, erano più forti, perché più barbari e più cinici, furono costretti a riempire di speranza più che di panni le loro valigie di cartone ed andare a cercare “fortuna all’estero”. Per fortuna accolti e non respinti come facciamo o vorremmo fare noi con i migranti che bussano alle nostre porte.
Emigranti in arrivo a Ellis Island, New York, 1911. Images of History
Forse oggi l’unico vantaggio che noi abbiamo rispetto a loro è che avendo imparato a leggere e a scrivere abbiamo forse più forza mentale per capire i problemi e per cercare soluzioni più “intelligenti” di quante la disperazione e la miseria non ne suggerissero a loro. Il fatto è che tutta questa intelligenza si sta esaurendo, si sta svuotando, si sta svilendo colpita com’è quotidianamente dalle continue mortificazioni che le infligge lo strapotere della Stupidità. Arrogante, presuntuosa, pervasiva, onnipresente, ignorante.
Un tempo era il binomio “trono-altare” che ottundeva le coscienze. Oggi è la saldatura tra partiti politici, criminalità organizzata e media ad imbavagliarle condannando un’intera generazione, la mia, quella dei nati dopo il 1970, a guardare con preoccupazione, se non con angoscia, al futuro. E le generazioni successive, forse, a non averlo proprio un futuro. Un tempo, neanche tanto lontano, fu una borghesia dinamica e colta, insofferente e combattiva, illuminata e filantropa, coraggiosa ed invitta ad abbattere quel sistema soffocante e a risvegliare le coscienze di tutti. Era quello il tempo delle rivoluzioni che a costo di grandi sacrifici umani, ci hanno reso, da sudditi, cittadini liberi e capaci di autodeterminarci.
Oggi che ne è di quella libertà e di quel diritto all’autodeterminazione conquistati con tanta fatica? Noi cittadini ci rendiamo conto benissimo di quello che sta accadendo nel Paese. Vogliamo Informazione e ci danno intrattenimento. Vogliamo Verità e ci danno opinioni. Vogliamo Cultura e ci danno spazzatura. Vogliamo Consapevolezza e ci regalano paura. Nonostante si faccia di tutto per non farci capire nulla e per non farci pensare, noi tutte queste cose le capiamo benissimo lo stesso perché, come dicevo, abbiamo la forza mentale sufficiente per capirle. Ma una volta che le abbiamo capite, una volta che le abbiamo denunciate e nessuno ci ha ascoltato, cosa possiamo fare? Cosa ci resta da fare? Dobbiamo fare la rivoluzione? Dobbiamo emigrare?
Ma ci rendiamo conto che fare la rivoluzione, costringere qualcuno a farla perché non ci sono altre strade, significa versare altro sangue innocente e magari domani essere additati dalla storiografia ufficiale come “briganti” o come terroristi e non come eroi o partigiani, se la cosa non dovesse riuscire?
Lapide posta all'interno del Forte di Fenestrelle
Ci si rende conto che emigrare significa vivere da sradicati e che chi è sradicato, come ha scritto Simone Weil, finisce prima o poi per sradicare anche gli altri secondo una lezione amarissima che la Storia ci ha già dato ma da cui l’umanità sembra aver imparato ben poco? È davvero così difficile fare tutti un passo indietro? È davvero così difficile, in una democrazia moderna, scongiurare le rivoluzioni e le emigrazioni smettendola di litigare, di discriminare, di distinguere, di escludere, di impoverire? È davvero così difficile smetterla di mentire? È davvero così difficile mettere mano, tutti insieme, ad una riforma, meglio ancora, ad una rifondazione del Paese, ripartendo dalle sue Verità, anche quelle più scomode e più tristi, e cancellando, non solo dai libri di storia ma dalle nostre coscienze, le molte, troppe menzogne su cui finora l’abbiamo costruito?
È necessario rispondere ora, non domani, a queste dure domande, che non sono le domande di uno solo, precario ed insegnante, ma sono le domande di un’intera generazione che vuole un futuro, che pretende un futuro e che un futuro se lo darà. Con le buone o con le cattive, se sarà necessario.
Articolo di Emanuele Troisi, insegnante di filosofia in un liceo classico.