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Note di prosa - 61

Creato il 14 gennaio 2011 da Sulromanzo

Da “Anna Karenina” di Lev Tolstoj

Vronskij si fermò, lo guardò fisso, lo riconobbe e, fatti alcuni passi incontro a Sergej Ivanovic, gli strinse forte la mano.

— Forse voi non desiderate neppure di vedermi — disse Sergej Ivanovic; — ma non posso esservi utile?

— Non c’è nessuno che io possa vedere meno spiacevolmente di voi — disse Vronskij. — Perdonatemi. Cose piacevoli per me nella vita non esistono.

— Capisco, volevo offrirvi i miei servigi — disse Sergej Ivanovic, esaminando il viso, evidentemente sofferente, di Vronskij.

— Non avete bisogno d’una lettera per Ristic, per Milan?

— Oh, no! — disse Vronskij, quasi stentando a capire. —

Se per voi è indifferente, camminiamo. Nelle vetture c’è una afa tale. Una lettera? No, vi ringrazio; per morire non c’è bisogno di raccomandazioni. Se non ai turchi... — diss’egli, sorridendo solo con la bocca. Gli occhi continuavano ad avere una espressione di sofferenza esasperata.

— Sì, ma forse vi sarebbe più facile entrare in relazioni, che tuttavia sono indispensabili, con una persona preparata. Ma come volete! Sono stato molto contento sentendo della vostra decisione. Anche così, ci sono giàtanti attacchi contro i volontari, che un uomo come voi li solleva nell’opinione pubblica.

—  Io, come uomo — disse Vronskij — sono buono perché la vita per me non vale nulla. E che in me ci sia abbastanza forza fisica per sfondare un quadrato e romperlo o rimanerci, questo lo so. Sono contento che ci sia qualcosa per cui dare la mia vita, la quale non è che non mi sia necessaria, ma m’è venuta in odio. A qualcuno servirà — ed egli fece un movimento impaziente con lo zigomo per un doloroso, incessante mal di denti, che gli impediva perfino di parlare con l‘espressione che voleva.

— Tornerete a nuova vita, ve lo predìco — disse Sergej Ivanovic, sentendosi commosso. — La liberazione dei propri fratelli dal giogo è un fine degno e della morte e della vita. Che Iddio vi conceda buon successo esterno, e la pace interiore — soggiunse e tese la mano.

Vronskij strinse forte la mano tesa di Sergej Ivanovic.

— Sì, come strumento posso servire a qualcosa. Ma come uomo, sono un rudere — egli disse dopo una pausa.

 

L’attanagliante dolore al dente robusto, che gli riempiva di saliva la bocca, gli impediva di parlare. Tacque, esaminando le ruote di un tender che scivolava lento e scorrevole sulle rotaie.

E a un tratto non un dolore, ma un disagio interiore, tormentoso e complesso, che pure non era dolore, lo obbligò a dimenticare per un momento il mal di denti. Guardando il tender e le rotaie, sotto l’influsso della conversazione con un amico che non aveva rivisto dopo la propria sventura, gli tornò a un tratto in mente lei, cioè quello che rimaneva ancora di lei, quand’egli era entrato, correndo come un pazzo, nella caserma della stazione ferroviaria: sul tavolo della caserma il corpo insanguinato, disteso senza ritegno in mezzo agli estranei, ancora pieno di vita recente; la testa intatta reclinata indietro con le trecce pesanti e i capelli inanellati sulle tempie, e sul viso delizioso, dalla bocca rossa socchiusa, una strana espressione di pena rappresa sulle labbra e spaventosa negli occhi non chiusi e fissi, quasi stesse per pronunciare quella frase terribile che gli aveva detto durante il litigio, ch’egli se ne sarebbe pentito.

Ed egli cercava di ricordarla come era quando l’aveva incontrata la prima volta, pure alla stazione, misteriosa e incantevole, piena d’amore, che cercava e dava la felicità, e non così crudelmente vendicativa come gli tornava alla memoria nell’ultimo istante.

Egli cercava di ricordare i momenti migliori passati con lei; ma questi momenti erano avvelenati per sempre. Egli ricordava di lei solo quella minaccia trionfante, che aveva compiuto per ottenere un rimorso non necessario a nessuno, ma indistruttibile. Cessò di sentire il dolore al dente, e i singhiozzi gli contrassero il viso. Passando due volte davanti ai sacchi, in silenzio, e tornato padrone di sé, si voltò con calma verso Sergej Ivanovic:

— Non si è avuto un bollettino dopo quello di ieri? Sì, li hanno battuti per la terza volta, ma per domani intanto si aspetta un combattimento decisivo.

E, dopo aver parlato ancora della proclamazione di Milan a sovrano e delle conseguenze enormi che questo poteva avere, si separarono andando nelle rispettive vetture, al secondo squillo di campanello.

 

***

da La Traviata (versione in russo) "Parigi, o cara, noi lasceremo"  - Galina Vishneskaya e Sergej Lemeshev

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