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Notiziario delle cooperative…1971…

Creato il 07 febbraio 2012 da Gianpaolotorres

Notiziario delle cooperative…1971…

…grrrrhooor….fiiihhh..grrrrooohhrrr…fiiiihhiii…grrrorrr…fihiii…

Non siamo nomadi…né agricoltori..ci troviamo nei pressi di Eilat (Negev)..1971+

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Non disprezzare il lavoro faticoso..in particolare l’agricoltura che Dio ha istituito.Siracide,(7-15)…

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Notiziario delle cooperative…1971…

un momento di…relax pomeridiano dei volontari…internazionali..

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“I capisaldi del sistema cooperativo sono i principi di mutualità, solidarietà, democrazia,non il lucro.”

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02-04-2010

Il ritorno dei figli del kibbutz

La popolazione del movimento kibbutzistico in Israele è cresciuta di circa 5.000 persone negli ultimi 5 anni grazie ai nuovi membri che sono cresciuti in kibbutz, l’hanno abbandonato,e ora tornano a casa dopo aver vissuto in città per anni.

Secondo Aviv Leshem, portavoce del movimento, molti dei nuovi residenti appartengono a giovani famiglie che vogliono approfittare dei vantaggi unici offerti dai kibbutz pur continuando a lavorare fuori dal kibbutz e a possedere auto private: diritti che sono stati concessi ai membri dei kibbutz ora che molti sono stati privatizzati.

“Vi sono parecchie cose che sono uniche del kibbutz – spiega Leshem Il kibbutz ha il proprio sistema di istruzione, che è importante per le giovani famiglie. Un altro vantaggio è l’atmosfera di campagna, un ambiente con tanto verde, senza rumori né automobili. La gente vuole rallentare il ritmo”.

Tre quinti di questi nuovi residenti sono in realtà cresciuti in kibbutz e se ne sono andati, per poi farvi ritorno più tardi con le rispettive famiglie. Questo ritorno, secondo Amikam Osem, coordinatore centrale della demografica dei kibbutz, nasce dalla rinnovata fiducia di coloro che tornano nella fattibilità delle comunità dei kibbutz.

“Questi ragazzi hanno visto i kibbutz tirarsi fuori da una crisi economica – dice Osem, un residente di Afikim – Oggi andare in kibbutz non rappresenta un rischio economico. C’è un desiderio, nella gente oltre i 30 anni con famiglia, di collegarsi con una comunità. Ne vedono una, quella da cui sono venuti, e ci ritornano”.

L’aumento dei membri viene sulla scia delle nuove opzioni abitative offerte da molti kibbutz per attirare residenti, compresa la possibilità per i residenti di costruire case nei kibbutz usando il proprio denaro. Osem aggiunge, tuttavia, che questo aumento della popolazione non significa che vi sarà un aumento nella privatizzazione dei kibbutz. Circa 60 kibbutz (su un totale di 268) mantengono ancora il modello socialista tradizionale del movimento.

“I kibbutz che hanno ancora una partnership economica hanno successo e garantiscono una buon livello di vita e sicurezza sociale – spiega – Non c’è ragione di cominciare a privatizzare. Un kibbutz cambierà il suo modo di vivere solo per ragioni economiche”.

Oltre a trasferirsi in kibbutz, molte famiglie optano di diventare membri a pieno titolo del kibbutz invece che residenti temporanei. Leshem attribuisce questa decisione al desiderio di avere pieni diritti all’interno della comunità.

“Essere un membro come tutti gli altri fa la differenza – dice Leshem – Puoi decidere sulle cose e puoi suggerirne altre. Se sei solo un residente temporaneo, non fai veramente parte della comunità”.

Tra il 1995 al 2003 il movimento dei kibbutz aveva perduto quasi 15.000 membri, e non vedeva una crescita su questa scala da prima degli anni ’80, quando parecchi kibbutz si ritrovarono pieni di debiti e dovettero affrontare una grave crisi economica. I kibbutz si riunirono in congresso nel 1989 per affrontare il problema dei debiti e, secondo Leshem, ora che i debiti li stanno pagando il movimento è economicamente sicuro.

“Parecchi kibbutz che hanno privatizzato hanno migliorato la loro situazione economica – spiega – Oggi non ci sono kibbutz che vivano al di sopra dei propri mezzi.

La gente non vive più solo secondo le ideologie.

È necessario darsi da fare per garantire la sicurezza del kibbutz. I nuovi membri lo capiscono bene”.

Il movimento tuttavia deve affrontare un’altra sfida: la maggior parte della crescita ha avuto luogo nella regione costiera e centrale, mentre i kibbutz nel Negev (il deserto nel meridione d’Israele) e in Galilea (nel nord) continuano a stagnare.

Il movimento ha formulato piani per attirare famiglie in quei kibbutz, e ha tenuto un convegno di residenti di kibbutz per discutere il problema. “Dobbiamo creare la consapevolezza che è ancora necessario incrementare la periferia – dice Osem – Ogni kibbutz può attuare il suo potenziale. E finché c’è potenziale, ci saranno ancora domande di adesione”.

(Da: Jerusalem Post + 08 luglio 09.)

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Notiziario delle cooperative…1971…

la seconda sorgente del fiume Giordano come si presenta nei pressi del kibbutz Dan+ Alta Galilea

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Vista della Galilea salendo verso le alture del Golan,confine con Siria.

Kibbutz, cento anni ben portati

di Eli Ashkenazi

Il movimento dei kibbutz, che compie cento anni, sembra aver mantenuto pochissima somiglianza con gli ideali che una volta lo motivavano. Secondo uno studio compiuto dall’Institute for the Research on the Kibbutz and the Cooperative Idea dell’Università di Haif, solo un quarto dei kibbutz funziona ancora come cooperative egualitarie, mentre gli altri hanno cominciato a pagare stipendi ai loro membri. Perfino Deganya Aleph, il primo kibbutz nella storia di Israele, opera oggi sul modello privatizzato.

Un’altra inchiesta condotta quest’anno ha rivelato che il 70% di tutti i membri di kibbutz guadagna uno stipendio mensile di meno di 7.000 shekel, mentre l’11% ne guadagna oltre 12.000. Sono 180 i kibbutz (il 72%) gestiti secondo il modello di privatizzazione noto come “nuovo kibbutz”, che prevede stipendi differenziati per i membri; 65 kibbutz (25%) sono gestiti in comune; e 9 kibbutz (3%) sono gestiti come kibbutz “integrati”.

Un kibbutz comunitario è quello in cui non c’è rapporto tra il lavoro compiuto dai membri e lo stipendio che ricevono; in altre parole, tutti sono pagati lo stesso.

Il modello integrato combina un budget di base egualmente distribuito tra tutti i membri con una percentuale dello stipendio di ciascun membro.

Un “kibbutz rinnovato”, il modello privatizzato oggi più diffuso, sostituisce il budget con stipendi regolari specifici per ogni membro provenienti dal lavoro e da altre fonti di reddito.

Il kibbutz privatizzato mantiene la proprietà comune degli strumenti di lavoro del kibbutz e degli altri beni, insieme a una “rete di sicurezza” per assicurazione sanitaria, pensione, istruzione e aiuto ai membri con esigenze speciali.

Dal 2007 al 2008, 14 kibbutz sono stati privatizzati; solo cinque sono stati privatizzati tra il 2008 e il 2009. In alcuni kibbutz il processo di privatizzazione è stato abbandonato dopo che la maggior parte dei membri ha deciso di mantenere il modello tradizionale cooperativo.

“La notizia veramente interessante – dice Elisha Shapira, coordinatore del settore cooperativo nel movimento dei kibbutz – è che alcuni kibbutz hanno deciso di non privatizzare. Non voglio fare profezie, ma potrebbe essere l’inizio di un ravvedimento”.

Un numero sempre maggiore di membri capisce che passare da cooperativa a differenziato danneggia la maggioranza, con vantaggi solo un ristretto gruppo.

“Quando si prende una società che era egualitaria e la si lascia gestire con le regole del mercato, è evidente che una minoranza sale e la maggioranza scende – spiega Shapira – Quando comincia la privatizzazione i membri si trovano improvvisamente molto più denaro in mano, così pensano che le cose vadano meglio; ma poi ricevono i conti per l’assicurazione sanitaria, l’istruzione, i trasporti e altri servizi altrettanto basilari. I membri del kibbutz a quel punto si rendono conto che le loro condizioni in realtà sono peggiorate”.

Tuttavia il direttore dell’istituto di ricerca, Shlomo Getz, dice che è troppo presto per valutare: “Non possiamo concludere che il processo di privatizzazione si sia arrestato perché nel 2009 [solo] due kibbutz comunitari e tre kibbutz integrati hanno adottato il modello privatizzato. Vi sono altri dodici comunitari e tre integrati che stanno già parlando di cambiare il loro modello amministrativo”.

“La grande sfida che affronta oggi il kibbutz è l’immagine del kibbutz usciamo da una crisi economica e sociale durata due decenni – dice Ze’ev Shor, segretario del Kibbutz Movement – La maggior parte dei kibbutz se l’è cavata bene durante la crisi. Tutti i kibbutz sono ora economicamente stabili e molti loro figli stanno tornando a casa: negli ultimi anni, 2.500 nuovi membri sono entrati nei kibbutz, e il 60% erano membri di kibbutz che tornavano.

Ci sono stati grandi cambiamenti nel modo di vivere in kibbutz durante la crisi, ma anche quei kibbutz che funzionano con stipendi, prodotti e alcuni servizi privati conservano ancora la solidarietà e l’assistenza reciproca che sono nel DNA del kibbutz”, conclude Shor.

(Da: Ha’aretz, 07.01.2010)


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