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Nottetempo: troppe lacune narrative per l’esordio noir di Francesco Prisco

Creato il 11 maggio 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

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di Francesco Prisco">nottetempoOgni genere ha le proprie peculiarità e difficoltà. Il noir è senza dubbio quello più difficile da sviluppare e infrangere. E certi paletti, estetici o contenutistici, non si possono spostare o rimuovere facilmente. L’esordio cinematografico di Francesco Prisco, Nottetempo, cerca con coraggio l’approccio ad un noir sentimentale, di personaggi sospesi tra odio e redenzione, fallimento e riscatto, rimpianto e ossessione. Ma l’esito, ottimo nella forma, paga a caro prezzo uno script lacunoso e debole.

Sul grande schermo l’incrocio di tre vite che un incidente stradale lega indissolubilmente: un severo poliziotto che non sa dimenticare un passato doloroso, una ragazza innamorata che non riesce a confessare il proprio amore, un cabarettista sulla via del tramonto. Tre destini che, sulla scia di una foto ambita e dimenticata, si inseguono tra Napoli e Bolzano, fino a sfiorarsi irrimediabilmente.

Francesco Prisco esordisce al lungometraggio avendo alle spalle vari cortometraggi pluripremiati. Che sia bravo si vede subito e a più riprese tecnicamente dimostra un’abilità da regista navigato, di chi sa da quale lato inquadrare i propri personaggi e creare con efficacia un’atmosfera gotica, lucida, densa di inquietudine. Un clima cupo e magnetico anche grazie ad una fotografia curatissima e una colonna sonora che genera suspense e mistero. Ma alla forma non segue il contenuto. Il soggetto è debole, così come la prova dell’intero gruppo d’attori. Il montaggio taglia senza criterio, generando lacune narrative che mettono a tacere, o addirittura omettono, nessi di consequenzialità che smarriscono lo spettatore. Un passato ingombrante, un regolamento di conti, passaggi da crepuscolare e gelido road movie li abbiamo visti nel recente cinema nostrano in Una vita tranquilla (2010) di Claudio Cupellini. Prisco sa che funzionano, si gioca queste carte, ma scivola su un (melo)dramma amoroso che non attecchisce sul nostro coinvolgimento.

Scarsa la prova dei protagonisti, su tutti un Giorgio Pasotti che gioca a fare il duro (con tanto di tartaruga addominale in bella mostra), al quale, tolti gli occhialoni scuri, un po’ come al Ryan Gosling di Drive, manca carattere. Impostata e manierista la giovane Nina Torresi in un personaggio inquieto che, invece di coinvolgere, ci respinge e infastidisce. L’unico a salvarsi in corner è Gianfelice Imparato.

Insomma, un esordio riuscito a metà, che, a livello narrativo/sintattico, deve colmare una grossa lacuna tra il “come” e il “cosa”.

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