Ore 16: Il libro della vita e della morte
Lunedì, ore 16:00
Avete presente quelle persone che quando leggete un giornale lanciano rapide occhiate in stile raggi gamma per accaparrarsi qualche notizia? Quelle che quando siete sul treno, o in metro, o su una panchina a godervi un libro, vi ruotano attorno come uno squalo cercando di capire a qualunque costo di che titolo si tratta? Quelle persone fastidiose che proprio, proprio non ci riescono a tenere i pensieri nel loro giardino? Ecco, bene, una di quelle persone sono io. Virginia. E in questo momento mi sono fissata su un vecchietto. Il vecchio più vecchio che abbia mai visto in vita mia. Dovrei fargli una foto e mandarla al Salone. Credo abbia mille anni. Se ne sta da una settimana sulla panchina del parco a leggere un libro misterioso. Con sé ha un cane, un Carlino color sabbia. Occhi grandi e coda a ricciolo. Si somigliano, anche se in realtà il Carlino somiglia alla maschera di Arlecchino. Devo scoprire cosa legge.
Martedì, ore 16:00
Ho bisogno di tette più grosse. Ho provato un paio di volte a sfilare davanti a quel vecchio, ma lui sembra partorito nel marmo. Piegato come un albero carico di neve, non si è sollevato nemmeno una volta dalla sua lettura per darmi una sbirciata. Non mi ha concesso un solo spiraglio per intuire il titolo del libro. Così non va Virginia, fallire a 17 anni è un brutto modo di affacciarsi alla vita.
Mercoledì, ore 16:00
Tecnica due, mirroring. Ora ho anche io il mio libro misterioso. Mi sono messa sulla panchina davanti a lui, e fingo di leggere senza lasciare indizi sulla copertina. Cadrai nella trappola mio caro Matusalemme. Mi chiederai “cose legge signorina?”, anzi, “Cosa legge, splendida e ben proporzionata signorina?” e dopo che gli avrò detto il titolo replicherò “E lei?”. A quel punto sarà mio. Non mi sfuggirà. Sei un demone dell’inferno, Virginia!
Giovedì, ore 16:00
Ok. Non ha funzionato. Nemmeno uno spogliarello di frati trappisti sulle note di I Will Survive di Gloria Gaynor riuscirebbe ad attirare la sua attenzione. Mi concentro sul Carlino: mordilo! Penso. Mordilo e staccagli un polpaccio, fagli cadere il libro! Nulla. Dannati cani e la loro fedeltà. Posso aspettare che crepi! Creperà prima o poi! Avrà quei cinque o seimila anni tatuati sulla pelle.
Venerdì, ore 16:00
A quanto pare, la Morte ha di meglio da fare. Starà giocando a scacchi con qualcuno. Mi resta una sola soluzione prima di impazzire. Andare lì e ucciderlo io stessa! Ah no, meglio di no. Andrò lì e gli chiederò semplicemente cosa sta leggendo. Spero non sia un catalogo di mutandoni invernali in stile liberty.
Sabato, ore 16:00
La curiosità uccise il gatto. Non solo mi ha mostrato di che libro si trattasse, ma me lo ha anche prestato. Il libro della vita e della morte. Mi ha detto. Scritto nel 1400. Un libro nero, rilegato. Senza titolo. Anche con delle tette più imponenti, sarebbe stato comunque difficile capire cosa fosse. Lo ha scritto una strega dell’epoca: V. Q.
In sostanza è una forma di diario che mette in luce i pensieri dei suoi portatori. Adesso anche io sono una portatrice, una portatrice sana di morte. Come tutti d’altronde. Non appena ho accettato di leggere il libro, quel vecchio si è rimangiato tutte le rughe. Come in un miracolo, è diventato un ragazzino della mia età. Potete capire la mia sorpresa. Ma quella meraviglia non è stata nulla paragonata al fatto che mi sono tramutata in una vecchia decrepita. In una centenaria. In una mummia. In una pallina da golf in prossimità della buca.
Ho ancora tutti i denti, ma dureranno poco. Ora devo trovare qualcuno interessato a cui passare il libro, qualcuno a cui lasciare la maledizione. Devo farlo prima che l’anzianità mi stronchi. Ma posso dare il libro solo a qualcuno più giovane di me. La me diciassettenne, intendo. Anche di un giorno, o un’ora, o un solo minuto. Deve essere più giovane di me. Per questo sono al parco, a cercare qualcuno a cui scaricare questo castigo. Ma sono tutti così piccoli, tutti così dannatamente piccoli, e nessuno che abbia più voglia di leggere…
Ore 17: L’ora del tè
Nicolas non aveva mai considerato a fondo le profonde implicazioni legate alla gravità. A Nicolas piaceva vivere, semplicemente. Senza troppi pensieri a piombargli le gambe. Amava le donne. Il lavoro. I soldi. Il calcio. I viaggi. E la felicità, concetto generico e senza forma: la risposta semplice alle domande difficili.
Felicità. Proprio inseguendo la felicità, i viaggi, e anche le donne, si era imbarcato sull’aereo diretto a Londra. La missione era: fine settimana da paura. Accontentato.
Fece appena in tempo a guardare fuori dal finestrino dell’aereo che uno dei motori di destra esplose. Scintille primordiali stingevano sul pacifico azzurro del cielo. Come tanti ragni ammaestrati, dall’alto scesero le mascherine dell’ossigeno. Qualcuno iniziò a gridare. Tutti gridavano. Nessuna hostess diligente sarebbe arrivata a riportare il silenzio, perché il silenzio in quel luogo si era consumato per sempre. La fusoliera prese a tremare in maniera spastica. Nicolas era come una mosca scossa in un bicchiere. Guardò ancora fuori, spinto dal terrore. Quello che trovò non era un cielo vorticante, ma qualcosa di più incredibile. Un angelo.
Era lì. Magnifico, con le ali spiegate. Il solo vederlo fu un balsamo per la paura. Era la cosa più strabiliante di tutta la sua vita. I loro occhi si incrociarono in un istante infinito. Bellissimo. Poi tutto quello che Nicolas non sapeva sulla gravità, si annunciò.
Se va su, prima o poi deve tornare giù. Schianto. Le fiamme si buttarono sui corpi dei passeggeri come una mandria di zombie affamati. Consumarono tutto lasciando solo ossa annerite. Buio.
Miracolo a seguire. Quando Nicolas riaprì gli occhi, tutti nella stanza non facevano altro che usare quella parola: miracolo. Il dottore, le infermiere, la gente stipata fuori dalla porta. Miracolo.
«Dove sono?» chiese Nicolas.
«Che vi avevo detto?» esclamò un dottore, rivolto ai suoi colleghi. «Nemmeno un graffio. Intatto».
Se fosse caduto dal letto si sarebbe fatto più male.
Un’infermiera si avvicinò a Nicolas, con tono saccente gli disse: «Per via della questione che sono fatti con la scienza e non con i sogni, gli aerei non precipitano sulle nuvole. Lei è un miracolato. Lo sa?».
«Sì» replicò Nicolas, aveva stampato nella retina la figura del piumato celeste. «Esattamente! Ho visto un angelo».
L’infermiera si lasciò sfuggire un risolino acuto. «Suvvia, sono solo un’infermiera. Faccio unicamente il mio dovere! Angelo mi sembra troppo». Poi, rivolgendosi a tutti gli astanti ordinò in modo autoritario: «Fuori, fuori tutti! Deve riposare!».
La stanza si svuotò, lasciando un silenzio nevrotico a fermentare nelle orecchie di Nicolas. Era estraniante, si era ritrovato dall’aereo all’ospedale in un battito di ciglia. Ma il terrore dell’avaria pulsava ancora di vertigine nelle viscere, come un terremoto che trama sotto la città.
Aveva capito. Era l’unico sopravvissuto alla tragedia. Di questo poteva ringraziare una sola persona, il suo Angelo custode. Si guardò in giro, annoiato, l’orologio sulla parete segnava le 17:00. Chiuse gli occhi, cercando la compagnia dell’oblio, ma il suono della finestra che si apriva lo ridestò. Un paio di ali bianche imponenti si allungarono nella stanza come due braccia tese. L’aria era elettrica. Nicolas guardò nuovamente con ammirazione quella visione. «Sapevo che ti avrei rivisto» gli disse, «volevo ringraziarti. Mi hai dato una seconda possibilità. Ora… ora farò di tutto per essere felice, per non sprecare la mia vita!».
L’Angelo si fece avanti nella stanza, avvicinandosi a Nicolas. Delicatamente gli mise una mano sulla spalla. Nicolas ebbe un sussulto. Era colmo di gioia, prossimo alle lacrime. «Grazie» disse ancora alla creatura. «Grazie. Ti devo tutto. Sei il mio Angelo custode».
«Non sono un angelo custode» gli rispose con voce assente. «Sono l’Angelo della Morte». Qualcosa nel cuore dell’uomo si ruppe, e non era tristezza. «Non so come,» concluse l’Angelo «mi ero scordato di te».
di Luigi Pellini
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