Nell’Ottocento la cosiddetta poesia dialettale prende spunto da tematiche popolari e folkloristiche. Nel Novecento questo genere si evolve assumendo i requisiti propri della poesia in lingua, sia per impegno che per tipologia dei contenuti. Quindi più che di poesia dialettale, nel XX secolo, si inizia a parlare di poesia in dialetto, poiché è la lingua l’unico elemento che differenzia questo tipo di poesia da quella classica. La poesia in dialetto si divide in due filoni, quella lirica e quella narrativa. Nella prima l’autore descrive stati d’animo e situazioni personali senza fermarsi a raccontare avvenimenti. Di solito è scritta in versi liberi ed essenziali. Invece la narrativa racconta vicende quotidiane percepite come familiari e dà voce anche ai più umili. Ovviamente entrambi i filoni risentono della trasformazione della società e degli usi e costumi.
Anche la poesia in dialetto napoletana è influenzata dagli eventi che attraversano la Penisola. Se inizialmente il sentimento tra uomo e donna era il protagonista principale dei componimenti partenopei di fine Ottocento, versi che marcavano la figura predominante del maschio virile nei confronti del sottomesso oggetto del suo desiderio; con l’avvento del XX secolo si inizia a prestare attenzione a nuovi tipi di sentimenti come l’amore per i figli, l’amicizia, il lavoro e soprattutto la città di provenienza: Napoli. Nella prima metà del Novecento il capoluogo campano è descritto pieno di giardini, angoli incantati, piccole osterie di campagna, spiagge solitarie e un mare limpido. Alla fine del secolo è invece descritto quale vittima del massacro urbano che la colpisce nel secondo dopoguerra.
Salvatore Di Giacomo
La poesia dialettale napoletana acquista per la prima volta una dignità artistica con Salvatore Di Giacomo. Prima di lui quest’arte era semplicemente espressione dell’anima popolare, ricca di emozioni ma segnata ancora da una certa superficialità. Di Giacomo descrive Napoli non tanto come l’insieme del Vesuvio, del Golfo e della città, ma piuttosto come uno stato d’animo, una condizione mentale a cui tutti gli uomini aspirano almeno una volta nella vita. Il poeta partenopeo scrive negli anni del Verismo, come si evince anche dagli elementi realistici inseriti nelle sue opere che narra con una lingua parlata molto lontana da quella fittizia, usata da alcuni suoi contemporanei. Altro interprete dell’anima napoletana è Ferdinando Russo. I suoi componimenti, caratterizzati dall’unione del volgare popolaresco alla lingua culturale scolastica, raccontano le usanze, i pregiudizi e le passioni violente e sentimentali dei napoletani. Ma se da una parte la poesia e anche la canzone napoletana narrano della città da cui si proviene, dall’altra denuncia anche la condizione dei numerosi concittadini che sono stati costretti ad emigrare. La maggior parte dei componimenti raccontano della nostalgia che provano coloro che si sono dovuti allontanare dalla propria terra, altri invece danno corpo alla sofferenza e all’ingiustizia di questa scelta. Fra tutti Libero Bovio scrive, nel componimento Lacreme napulitane, una sorta di conversazione epistolare tra madre e figlio nel periodo di Natale e afferma: “I’ so’ carne ‘e maciello: so’ emigrante”. Questa frase sarà alla base di numerose sceneggiate napoletane e opere cinematografiche di Mario Merola. Il tema dell’emigrazione, inteso nello stesso modo, si riscontra anche in altri brani quali Santa Lucia luntana di E. A. Mario, nome d’arte di Giovanni Ermete Gaeta. Il dialetto napoletano si evolve, quindi, in tutto il Novecento diventando la base di componimenti poetici e canzoni, per poi affermarsi come elemento d’espressione del mondo partenopeo, che sarà riconosciuto in tutto il paese, con le opere teatrali di Eduardo Scarpetta, Raffaele Viviani ed Eduardo de Filippo.
Fonti: Davide Monda, “Poesie di Salvatore Di Giacomo, Milano, Rizzoli, 2005
Ezio Raimondi, Gabriella Fenocchio, “La letteratura italiana”, Milano, Mondadori, 2004
Pasquale Scialò, “Storie di musiche”, Napoli, Guida, 2010
Salvatore Cerino, “Napoli eterna musa”, Napoli, Guida, 1994