“SETTEMBRE 2004; durante i Mondiali di Verona, prende vita l’Associazione per le donne cicliste. Le massime autorità interessate sono presenti. L’ex presidente UCI Verbruggen, il suo vice Patrick McQuaid, Francesco Moser, presidente dell’Associazione internazionale dei corridori, e Amedeo Colombo presidente dell’Assocorridori. L’UCI aveva spedito a casa delle prime 100 cicliste dell’allora rancking mondiale un questionario, sulla situazione delle donne cicliste. Quel questionario poteva essere rispedito anche in forma anonima. Si facevano domande sul rapporto con le società, i rimborsi spesa, ecc.. L’idea è di eleggere una rappresentante per ogni Nazione. La Presidente, Marie Pintueles, spiega che lo scopo dell’Associazione è quello di migliorare le condizioni delle cicliste, consigliarle, informarle, anche se non professioniste, dato che – al 2004 – il 90% (si, novanta!) non ha contratto, e quindi non possono esser considerate professioniste. INVERNO 2011; un nutrito gruppo di atlete, composto dalla maggior parte delle migliori cicliste italiane, chiede ed ottiene d’incontrare i “boss” dell’ACCPI (Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani) intanto per poterne far parte – dovevano anche chiedere? – e iniziare così ad essere prese in miglior considerazione dal “movimento” (leggi FCI). Viene stabilito che a marzo 2012, in occasione del Trofeo Binda, ci si riunirà per eleggere una rappresentante che possa sedere al tavolo delle decisioni. Poi non si sa più un’accidente di niente, almeno seguendo la stampa “tradizionale”, chiamiamola così. OTTOBRE 2012; nella seconda settimana di ottobre arriva una notizia. Viene messa a disposizione la possibilità di fare una copertura assicurativa che riguarda responsabilità civili verso terzi, infortuni, lesioni, spese mediche, assistenza e anche un fondo pensione. Alle atlete che vorranno aderirvi verrà spedito il modulo da, eventualmente, poter compilare per l’adesione dopo aver avuto informazioni più nel dettaglio. Questo il riassunto. Ci sono voluti solamente 8 anni, almeno in Italia, per avere cose che dovrebbero essere automatiche. Le conquiste che le cicliste italiane hanno messo in piedi in queste settimane per il lato assistenziale della loro attività sportiva sono una gran bella cosa. Peccato che, se queste possibilità adesso esistono, non sono certo state fatte per volontà di tutti. Se proprio le ragazze infatti non avessero messo la loro faccia in primis, staremmo ancora ai suddetti questionari UCI di metà decennio scorso. Un buco nell’acqua che non contò un’accidente. Ma quello che andrebbe guardato è che le coperture assicurative per le cicliste non sono automatiche. Possibile che un’atleta agonista di ciclismo non possa avere una copertura che scatti in maniera automatica, in caso di incidente o d’infortunio, nelle sue gare o nei suoi allenamenti? Perché una cosa del genere non viene discussa alla stipula del contratto? Eppure, a quanto pare, le notizie sono queste. Da anni e anni ormai ci sono proposte pronte, ma senza nessuno che le porti avanti. Serve una rappresentante. Questa è la questione. Una persona che si impegni a tempo quasi pieno (meglio sarebbe senza il “quasi”), e che sia possibilmente un’ex ciclista, che goda di stima come persona prima e come atleta poi. In maniera che sappia come nessun’altro quali sono le cose fattibili con poco, e quelle invece più difficili da ottenere. Una persona che sappia e abbia volontà di instaurare anche un rapporto finalmente aperto con l’informazione ed i suoi professionisti, per far sapere al mondo quali sono le rogne da sistemare e che c’è volontà di farlo. Di far sapere quali invece sono le cose che si sono fatte, oppure a cui si sta lavorando. Ma si rendano conto, le ragazze, che in mezzo ai sorrisi di circostanza e i complimenti sono sole. Hanno fatto di più Cantele, Guderzo, Bronzini e compagne nell’ultimo anno, che tutti i loro vari dirigenti in anni. Possibile? Si, possibile. Ma hanno dovuto metterci del loro per ottenere qualcosa. In questi anni mai si sono sentite le voci di dirigenti di squadre femminili. Adesso la crisi economica è occasione perfetta per poter dire che non ci sono risorse per questo e quest’altro. La scusa è servita sul piatto d’argento. Ma la crisi non esiste da dieci anni. Non c’è stata volontà di fare. Non è voglia di essere pessimisti, ma è meglio pedalare da sole che male accompagnate. Come è stato quasi sempre in questi anni.”
Magazine Ciclismo
“SETTEMBRE 2004; durante i Mondiali di Verona, prende vita l’Associazione per le donne cicliste. Le massime autorità interessate sono presenti. L’ex presidente UCI Verbruggen, il suo vice Patrick McQuaid, Francesco Moser, presidente dell’Associazione internazionale dei corridori, e Amedeo Colombo presidente dell’Assocorridori. L’UCI aveva spedito a casa delle prime 100 cicliste dell’allora rancking mondiale un questionario, sulla situazione delle donne cicliste. Quel questionario poteva essere rispedito anche in forma anonima. Si facevano domande sul rapporto con le società, i rimborsi spesa, ecc.. L’idea è di eleggere una rappresentante per ogni Nazione. La Presidente, Marie Pintueles, spiega che lo scopo dell’Associazione è quello di migliorare le condizioni delle cicliste, consigliarle, informarle, anche se non professioniste, dato che – al 2004 – il 90% (si, novanta!) non ha contratto, e quindi non possono esser considerate professioniste. INVERNO 2011; un nutrito gruppo di atlete, composto dalla maggior parte delle migliori cicliste italiane, chiede ed ottiene d’incontrare i “boss” dell’ACCPI (Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani) intanto per poterne far parte – dovevano anche chiedere? – e iniziare così ad essere prese in miglior considerazione dal “movimento” (leggi FCI). Viene stabilito che a marzo 2012, in occasione del Trofeo Binda, ci si riunirà per eleggere una rappresentante che possa sedere al tavolo delle decisioni. Poi non si sa più un’accidente di niente, almeno seguendo la stampa “tradizionale”, chiamiamola così. OTTOBRE 2012; nella seconda settimana di ottobre arriva una notizia. Viene messa a disposizione la possibilità di fare una copertura assicurativa che riguarda responsabilità civili verso terzi, infortuni, lesioni, spese mediche, assistenza e anche un fondo pensione. Alle atlete che vorranno aderirvi verrà spedito il modulo da, eventualmente, poter compilare per l’adesione dopo aver avuto informazioni più nel dettaglio. Questo il riassunto. Ci sono voluti solamente 8 anni, almeno in Italia, per avere cose che dovrebbero essere automatiche. Le conquiste che le cicliste italiane hanno messo in piedi in queste settimane per il lato assistenziale della loro attività sportiva sono una gran bella cosa. Peccato che, se queste possibilità adesso esistono, non sono certo state fatte per volontà di tutti. Se proprio le ragazze infatti non avessero messo la loro faccia in primis, staremmo ancora ai suddetti questionari UCI di metà decennio scorso. Un buco nell’acqua che non contò un’accidente. Ma quello che andrebbe guardato è che le coperture assicurative per le cicliste non sono automatiche. Possibile che un’atleta agonista di ciclismo non possa avere una copertura che scatti in maniera automatica, in caso di incidente o d’infortunio, nelle sue gare o nei suoi allenamenti? Perché una cosa del genere non viene discussa alla stipula del contratto? Eppure, a quanto pare, le notizie sono queste. Da anni e anni ormai ci sono proposte pronte, ma senza nessuno che le porti avanti. Serve una rappresentante. Questa è la questione. Una persona che si impegni a tempo quasi pieno (meglio sarebbe senza il “quasi”), e che sia possibilmente un’ex ciclista, che goda di stima come persona prima e come atleta poi. In maniera che sappia come nessun’altro quali sono le cose fattibili con poco, e quelle invece più difficili da ottenere. Una persona che sappia e abbia volontà di instaurare anche un rapporto finalmente aperto con l’informazione ed i suoi professionisti, per far sapere al mondo quali sono le rogne da sistemare e che c’è volontà di farlo. Di far sapere quali invece sono le cose che si sono fatte, oppure a cui si sta lavorando. Ma si rendano conto, le ragazze, che in mezzo ai sorrisi di circostanza e i complimenti sono sole. Hanno fatto di più Cantele, Guderzo, Bronzini e compagne nell’ultimo anno, che tutti i loro vari dirigenti in anni. Possibile? Si, possibile. Ma hanno dovuto metterci del loro per ottenere qualcosa. In questi anni mai si sono sentite le voci di dirigenti di squadre femminili. Adesso la crisi economica è occasione perfetta per poter dire che non ci sono risorse per questo e quest’altro. La scusa è servita sul piatto d’argento. Ma la crisi non esiste da dieci anni. Non c’è stata volontà di fare. Non è voglia di essere pessimisti, ma è meglio pedalare da sole che male accompagnate. Come è stato quasi sempre in questi anni.”
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